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"La diffusione di Facebook non causa danni psicologici a livello globale". Il nuovo studio di Oxford

Pubblicato 09.08.2023, 15:51
Aggiornato 09.08.2023, 16:05
© Reuters.  "La diffusione di Facebook non causa danni psicologici a livello globale". Il nuovo studio di Oxford
META
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Si tratta del più grande studio scientifico di questo tipo mai condotto e i risultati possono sembrare sorprendenti.

Un team di scienziati dell'Università di Oxford ha dichiarato di non aver trovato alcuna prova che la diffusione a livello mondiale di Facebook (NASDAQ:META) sia in qualche modo all'origine di danni psicologici diffusi.

Pubblicato dalla Royal Society, lo studio di Oxford ha utilizzato i dati di quasi un milione di persone in 72 Paesi dal 2008 al 2019, e ha sfruttato i dati di utilizzo individuale di milioni di utenti di Facebook in tutto il mondo per analizzare l'impatto della piattaforma sul benessere degli utenti.

Nonostante le affermazioni popolari sull'impatto dei social media, la ricerca dell'Oxford Internet Institute, guidata dal professor Andrew Przybylski e dal professor Matti Vuorre, non ha riscontrato "alcuna prova" del fatto che la diffusione di Facebook sia effettivamente legata in modo negativo al benessere degli utenti.

"Sebbene le segnalazioni di esiti psicologici negativi associati ai social media siano comuni negli scritti accademici e divulgativi, le prove dei danni sono, nel complesso, più speculative che conclusive", si legge nel documento di ricerca.

Facebook fa bene alla salute mentale?

Lo studio si spinge oltre, aggiungendo che l**'uso della piattaforma di social media di Zuckenberg potrebbe effettivamente apportare dei benefici alla salute mentale.**

"Abbiamo esaminato attentamente i migliori dati disponibili e abbiamo scoperto che non supportano l'idea che l'iscrizione a Facebook sia correlata a un danno, anzi. Anzi, la nostra analisi indica che Facebook può essere collegato a un benessere positivo", ha dichiarato Przybylski.

"Ciò non significa che questa sia la prova che Facebook sia positivo per il benessere degli utenti, ma semplicemente che i dati non supportano l'idea che l'espansione dei social media abbia un'associazione negativa con il benessere in tutte le nazioni e in tutte le fasce demografiche", ha aggiunto Przybylski.

Con quasi tre miliardi di utenti attivi mensili, Facebook è ancora il social media più popolare di Meta. Ma nel corso del tempo sono state sollevate preoccupazioni riguardo all'influenza che Facebook e gli altri social media potrebbero avere sui suoi utenti, soprattutto quelli più giovani.

Gli studi precedenti si sono concentrati sul Nord del pianeta, afferma Vuorre, coautore dello studio. Ora, invece, i risultati sono globali: "Nel nostro nuovo studio, per la prima volta copriamo la più ampia geografia possibile, analizzando i dati di utilizzo di Facebook sovrapposti a solidi dati sul benessere, fornendo una prospettiva davvero globale", ha sottolineato.

Facebook non ha commissionato né finanziato lo studio, ma ha partecipato alla fornitura dei dati.

Nessuna prova di associazioni negative

"Per comprendere meglio, abbiamo collegato i dati relativi all'adozione globale di Facebook con tre indicatori di benessere: soddisfazione di vita, esperienze psicologiche negative e positive", hanno spiegato i ricercatori, secondo cui "non sono emerse prove di associazioni negative e in molti casi sono state riscontrate correlazioni positive tra Facebook e gli indicatori di benessere".

I ricercatori hanno anche analizzato le differenze legate all'età e al sesso.

La loro analisi ha mostrato che l'associazione tra l'adozione di Facebook e il benessere era leggermente più positiva per i maschi che per le femmine, in tutte le misure di benessere, ma queste tendenze non erano significative.

Va notato che i dati studiati si sono fermati al 2019, prima della pandemia.

Dopo diversi scandali, Meta sembra essersi orientata verso una maggiore trasparenza e collaborazione con gli scienziati. Solo pochi giorni fa, ad esempio, sono stati pubblicati diversi articoli sulle riviste Science e Nature che riguardano l'impatto dei suoi algoritmi sulle opinioni politiche nel 2020.

"I nostri risultati dovrebbero aiutare a orientare il dibattito sui social media verso basi di ricerca più empiriche. Abbiamo bisogno di una ricerca collaborativa più trasparente tra scienziati indipendenti e industria tecnologica per determinare meglio come, quando e perché le moderne piattaforme online potrebbero influenzare i loro utenti", ha concluso Vuorre.

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