Di Alessandro Albano
Investing.com - Le pressioni inflazionistiche statunitensi relative al mese di luglio sono rallentate al +8,5% a/a dal +9,1% di giugno, un possibile segnale di un raffreddamento dei prezzi sebbene il tasso d'inflazione rimanga ai massimi da 40 anni e ben lontano dal target del 2% della Federal Reserve.
Anche l’indice core (che esclude beni alimentari ed energetici) ha mostrato aumento inferiore alle previsioni del +5,9%, anche se il calo del paniere generale è da imputarsi principalmente al calo dei prezzi del petrolio e dei beni energetici.
L’oro nero, commenta Federico Vetrella, Market Strategist di IG Italia, ha infatti toccato i minimi dal febbraio scorso "sulla scia delle aspettative pessimistiche riguardo alla domanda futura e alla chiusura delle attività in Cina (grande importatore di materie prime) a causa di una ripresa dei casi di Covid-19".
Inoltre, alla luce dei dati sul mercato del lavoro di venerdì scorso, secondo l'esperto "vi è un’altra dimostrazione che una grossa componente della crescita dei prezzi è dovuta alle sole materie prime, nonostante l’economia statunitense rimanga comunque surriscaldata e vicina alla piena occupazione".
Gli effetti sui mercati
Le Borse hanno esultato dopo la pubblicazione del dato con Wall Street che ha mostrato un deciso rialzo di seduta di mercoledì, mentre i mercati europei stanno scambiando in territorio positivo nel trading odierno in linea con i mercati asiatici.
Anche l'EUR/USD è rimbalzato toccando un massimo da oltre un mese di 1,0346, una variazione del +1% in meno di 15 minuti. Segui l'andamento degli indici azionari in tempo reale: https://it.investing.com/indices/major-indices
Il rallentamento dell'IPC ha portato i mercati a scontare una "ri-normalizzazione" della politica monetaria della Fed, che - secondo le aspettative dei trader - potrebbe alzare i tassi d'interesse meno del previsto nelle prossime riunioni del 2022.
Tuttavia, spiega Vetrella, la questione è ben più complicata: il governatore Jerome Powell ha dichiarato nelle scorse settimane che la banca centrale dovrà vedere “un significativo calo dell’inflazione” prima di poter agire sui tassi abbassandoli.
Le previsioni
Secondo lo strategist di IG, il picco delle pressioni inflazionistiche "potrebbe davvero essere già stato raggiunto grazie al forte calo dei prezzi delle materie prime", ed in particolare quelle energetiche.
"Il dato positivo sull’inflazione statunitense è sicuramente incoraggiante per i mercati che si aspetteranno ulteriori cali nei prossimi mesi", continua Vetrella, avvertendo che "è ancora troppo presto per affermare che le pressioni inflazionistiche hanno iniziato una vera tendenza discendente".
Se un ribasso dell’inflazione statunitense dovesse essere rilevato anche nei prossimi mesi, per l'esperto il mercato si aspetterebbe "sicuramente una revisione della politica monetaria della Fed "perlomeno con un rialzo dei tassi molto più “soft” (50 pb) rispetto ai 75 punti base previsti dal consensus".
Il mercato si attende ora anche una riduzione del livello dei tassi di interesse a fine anno con le aspettative del consensus che sono scese al 3,4% rispetto al precedente 3,6%.
Più cauto Oliver Blackbourn, Multi-Asset Portfolio Manager di Janus Henderson, secondo il quale i mercati dovranno attendere "le dichiarazioni pubbliche dei funzionari della Fed per vedere come interpreteranno il calo dell'inflazione superiore alle attese".
C'è stata una certa rassicurazione per i mercati, ma la Fed - avverte il manager di JH, si concentrerà "senza dubbio sui segnali relativi all'inflazione sottostante, in particolare a fronte di un mercato del lavoro molto rigido".
"Il continuo aumento dei costi dei servizi sarà forse meno confortante per l’istituto di quanto non lo sia stato per gli investitori l'aumento dell'inflazione relativa ai prezzi dei beni", afferma Blackbourn.