Secondo Schmitt di Ethenea gli unicorni drogano il mercato azionario con la loro focalizzazione esclusiva sulla crescita dimensionale e l’indifferenza alla capacità di generare utili. Il caso recente dell’Ipo di Uber (NYSE:UBER)
Li chiamano unicorni e la loro popolazione è concentrata sulla costa Ovest degli Stati Uniti, con qualche presenza sporadica segnalata anche nel Vecchio Continente, soprattutto Gran Bretagna e Germania. Hanno due caratteristiche principali. La prima è una valutazione che supera il miliardo di dollari, ma solo sulla base di quanto ha pagato le azioni l’ultimo investitore arrivato. La seconda infatti è che gli unicorni non sono quotati in Borsa, fino a che non decidono che è arrivata l’ora di una bella Ipo, una quotazione. Dieci anni fa esistevano solo una manciata di società di questo tipo, ma nel tempo il loro numero è aumentato a circa 500, in quella che è diventata una vera e propria piaga dell’Unicorno. Questo almeno è il giudizio espresso da Christian Schmitt, portfolio manager del fondo bilanciato Ethna-Dynamisch, della scuderia Ethenea.
PENSANO SOLO A CRESCERE E SONO INDIFFERENTI ALLA REDDITIVITA’
“Con il loro modello di business concentrato sulle vendite e disinteressato alla redditività – afferma infatti l’esperto di Ethenea – le giovani startup non ancora quotate, ma già valutate più di 1 miliardo di dollari, distorcono il mercato azionario, penalizzando i titoli value”. Una piaga, secondo Schmitt, perché la strategia di crescita della maggior parte degli unicorni danneggia in maniera molto specifica le altre aziende del mercato. Per queste startup infatti, la priorità assoluta è l’incremento delle vendite, perseguito attraverso un’aggressiva acquisizione di nuove quote di mercato, mentre la redditività non gioca alcun ruolo e diventa secondaria, a volte anche per decenni, rispetto all’espansione nei mercati globali...
** Il presente articolo è stato redatto da FinanciaLounge
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