Di Mauro Speranza
Investing.com – Il decreto su Banca Popolare di Bari prevede una spesa “fino a un importo massimo di 900 milioni per il 2020”, e si inserisce in un percorso in cui lo Stato ha già speso 10 miliardi di euro per il salvataggio del sistema bancario italiano.
Il calcolo è stato fatto dall’Osservatorio dell’Università Cattolica di Milano, secondo il quale la spesa potrebbe anche arrivare addirittura fino a 20 miliardi. La cifra potrebbe essere raggiunta nel caso in cui non si riuscisse a vendere le sofferenze delle Banche Venete (6,4 miliardi), a cui si potrebbero aggiungere 12,4 miliardi di garanzie statali il cui utilizzo risulta ancora incerto.
Le operazioni più importanti effettuate dai governi, indipendentemente dai colori politici, riguardarono Monte dei Paschi di Siena (MI:BMPS), le due banche venete e Banca Carige (MI:CRGI), che tonerà ad essere quotata in borsa la settimana scorsa.
Monte dei Paschi di Siena (MI:BMPS)
Nel 2013 venne scoperto che l’istituto senese aveva falsificato i bilanci per coprire i costi dell’operazione Antonveneta, dando il via a inchieste giudiziarie, aumenti di capitale, e trattative con la Banca centrale e l’Unione europea.
Il 2016 si caratterizzò per la bocciatura di Mps agli stress test e dal fallimento della soluzione ‘privata’, nonostante la regia di Jp Morgan.
Nel dicembre dello stesso anno il governo Gentiloni interviene per salvare Mps con 5,4 miliardi di euro, rimborsato solo in parte agli obbligazionisti per 1,5 miliardi. L’operazione portò il Tesoro a diventare l’azionista di maggioranza con il 68% del capitale.
Le banche venete
La cattiva gestione colpì anche la Popolare di Vicenza e Veneto Banca, a cui non bastarono diversi piani di rilancio.
Il governo interviene nel 2016 con un esborso totale di 3,5 miliardi di euro tramite Cdp, a seguito del fallimento dell’operazione privata tramite il Fondo Atlante cui parteciparono le banche.
Le due banche vennero infine rilevate da Intesa Sanpaolo (MI:ISP), dopo che non era bastata la garanzia da parte dello stato di obbligazioni per complessivi 8,6 miliardi.
In questa operazione, lo Stato versa a Intesa (MI:ISP) 4,8 miliardi di euro per la cassa e 6,4 miliardi come ulteriore garanzia, puntando a recuperare tale capitale a seguito della vendita, negli anni, dei crediti in sofferenza.
I salvataggi senza oneri per lo Stato
Banca Carige (MI:CRGI)
Per l’istituto genovese era arrivato il commissariamento nel gennaio 2019, dopo che l’assemblea degli azionisti non aveva approvato l’aumento di capitale da 400 milioni di euro, indispensabile a ripagare un bond subordinato da 320 milioni sottoscritto dallo schema volontario del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi.
Falliti i tentativi di mercato che avevano coinvolto anche il fondo USA BlackRock, la soluzione era passata tramite il Fondo interbancario di tutela e un aumento di capitale da 700 milioni di euro, con Cassa Centrale Banca quale partner industriale.
Nella ricapitalizzazione della banca non è previsto l’intervento dello Stato in termini di liquidità. Finito il percorso dell’aumento di capitale, il commissario di Banca Carige ha appena annunciato il ritorno in borsa a partire da febbraio, dopo la sospensione del gennaio 2019.
Le 4 banche
Nel novembre 2015 vennero messe in risoluzione 4 piccole banche: Carichieti, CariFerrara, Banca Marche e Banca Etruria.
Per affrontare la necessità di coinvolgimento degli obbligazionisti, oltre che degli azionisti, arrivato con la ‘burden sharing’, venne finanziato il Fondo di Risoluzione con oltre 5 miliardi di euro, con lo scopo di ricapitalizzare le 4 banche.
Il capitale di quest’ultime venne azzerato, per coprire le perdite derivanti dai crediti in sofferenza e creare la ‘bad bank’ per il recupero di tali crediti. Infine, le 4 banche furono cedute a Ubi Banca (MI:UBI) per un euro.
L’operazione non determinò, quindi, contributi da parte dello Stato.