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Dati USA ne troppo caldi ne troppo freddi ma...

Pubblicato 21.08.2024, 08:59

Il conformismo è il carceriere della libertà e il nemico della crescita (J.F. Kennedy).


Seconda lettura dell’inflazione tendenziale annua di luglio dell’Europa, pari al 2,6%, in linea con la prima lettura e in leggera crescita rispetto al +2,5% di giugno. Al pomeriggio verranno pubblicati i verbali dell’ultima riunione di politica monetaria del FOMC
 
Nella scorsa settimana la azioni americane sono salite alle stelle, completando una rimonta dopo il crollo di inizio agosto, guidato dai segnali di un rallentamento dell'economia degli Stati Uniti che ha riacceso i timori di una recessione imminente. L'impennata verso l'alto dei principali indici è stata alimentata da ulteriori segnali che l'inflazione sta andando nella giusta direzione e che l'economia, almeno in base ai dati principali, rimane relativamente forte nonostante gli attuali elevati tassi di interesse.
 
Mentre alcuni media finanziari hanno etichettato i dati della scorsa settimana come un mix perfetto di né troppo caldo né troppo freddo, crediamo che questo atteggiamento ignori il fatto che più a lungo la politica monetaria è restrittiva (vale a dire, i tassi rimangono alti agendo da freno all'economia), più profondamente i tassi più alti si insinueranno nell'economia e aumenteranno le possibilità di una recessione. Anche perché i dati economici che non sono né troppo caldi né troppo freddi, danno alla Fed pochi incentivi ad effettuare tagli significativi ai tassi di interesse.
 
Riteniamo che il rischio di riaccendere le pressioni sui prezzi alimentando la crescita in un'economia che non mostra evidenti segnali di cedimento sia troppo grande perché la Fed possa tagliare aggressivamente i tassi. Il rischio è ulteriormente aumentato dal fatto che, mentre le letture dell'inflazione stanno migliorando, le tendenze a lungo termine mostrano ancora pressioni persistenti sui prezzi che potrebbero risvegliarsi se l'economia si riscalda.
 
Salvo numeri di occupazione molto peggiori del previsto verso la fine di questo mese, continuiamo pertanto a credere che la strada più probabile che la Fed intraprenderà sia un modesto taglio di 25 punti base a settembre (secondo il FedWatch Tool il 76% dei trader si aspetta un taglio di 25 bp a settembre) e un graduale allentamento dei tassi in seguito, come i dati giustificano (vedremo se nel meeting del 17-18 dicembre, oppure più acanti nel 2025). Sfortunatamente, più a lungo i tassi rimangono in territorio restrittivo, maggiore sarà la pressione al ribasso che eserciteranno sull'economia e, di conseguenza, aumenterà il rischio di una recessione.
 
Sebbene sia ancora possibile che l'economia possa evitare una recessione nel breve termine, anche se la Fed è lenta a ridurre in modo significativo i tassi, le tendenze nei dati suggeriscono che è improbabile. Ad esempio, la disoccupazione ha registrato un andamento crescente ed è aumentata dello 0,9% rispetto al minimo post-COVID. Guardando indietro, ogni volta che gli Stati Uniti hanno sperimentato un aumento del tasso di disoccupazione, come stiamo vedendo ora, è seguita una recessione.
 
Di sicuro, ci sono segnali occasionali che l'economia continua a sfidare la gravità: le vendite al dettaglio della scorsa settimana sono le più recenti. Inoltre, mentre la spesa dei consumatori alimenta la maggior parte dell'economia, ci sono stati casi in cui le vendite al dettaglio sono cresciute anche se l'economia inciampava. Nel novembre 2007 ad esempio, un mese prima dell'inizio della grande crisi finanziaria, le vendite al dettaglio sono cresciute dell'1% mese su mese e sono aumentate del 5,5% anno su anno. Allo stesso modo, nel gennaio 2001, appena prima che iniziasse la recessione delle dotcom a marzo di quell'anno, le vendite al dettaglio sono aumentate dell'1,1% per il mese e del 4% nei 12 mesi precedenti.
 
Da non sottovalutare la forte flessione della produzione manifatturiera: la produzione industriale è scesa dello 0,6% a luglio dopo essere aumentata dello 0,3% a giugno. Metà del calo è tuttavia legato alla chiusura delle industrie petrolchimiche in risposta all'uragano Beryl. Su base annua, la produzione industriale risulta comunque in calo dello 0,2%. La produzione manifatturiera (la componente più grande della produzione industriale) è scesa dello 0,3% nel mese (+0,1% su base annua). La produzione di beni durevoli è scesa dello 0,4% a dicembre, ma è stata compensata da un guadagno dello 0,6% per i prodotti non durevoli.
 
Segnaliamo le anomalie di cui sopra perché vogliamo sottolineare l'importanza di non ancorare le aspettative dell'economia e dei mercati ad un singolo set di dati. Siamo convinti invece che l'approccio migliore sia quello di guardare alle tendenze e al peso di un insieme diversificato di dati mentre si traggono le proprie conclusioni sul percorso futuro.
 
Allo stesso modo, crediamo che gli investitori siano meglio cautelati dal rischio adottando un approccio diversificato agli investimenti. Possedere una varietà di classi di attività è infatti il modo migliore per gestire la volatilità, perché riconosce che nessuno sa con certezza cosa accadrà. E mentre la diversificazione è spesso vista come uno strumento difensivo, crediamo che dovrebbe essere considerata un approccio per tutte le stagioni che consente agli investitori di avere esposizione a classi di attività che in genere hanno buoni rendimenti anche se altre sono in ritardo.
 
 
 
 
 

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