Nella seconda metà del 2020 le Borse mondiali stanno andando in una direzione, quella rialzista. Dopo lo shock dovuto alle chiusure forzate per i motivi a tutti noti, si è vista una grande ripresa dei mercati. I miliardi che sono stati bruciati in pochissime sedute, e a ben vedere in maniera ragionevole, andando a scontare le future diminuzioni di produzione di beni e fornitura di servizi a causa delle norme restrittive che i governi di tutto il mondo stavano imponendo, sono stati recuperati a partire dalla primavera assistendo ad una ripresa dei listini in tutte le piazze.
Alcuni indici hanno toccato i loro massimo storici. Il Nasdaq ha rotto la barriera dei 10mila punti e adesso la supera stabilmente aggirandosi sui 12.500. In questo caso una spiegazione razionale potrebbe essere quella che questa pandemia ha cambiato irrimediabilmente le abitudini delle persone, accelerando processi che, in assenza di Covid-19, si sarebbero realizzati tra qualche anno. Quindi i bilanci dei titoli che compongono l’indice, i big-tech e più in generale le aziende di servizi digitali, hanno tratto beneficio da queste restrizioni e le valutazioni borsistiche hanno soltanto seguito questa situazione.
Tuttavia, anche tutti gli altri indici delle principali borse mondiali hanno ripreso, e in alcuni casi superato, i livelli pre-Covid. A partire dagli USA dove lo S&P ha superato il massimo di inizio 2020 e adesso sta superando la soglia dei 3.500 punti. Anche il Dow Jones ha superato i 30 mila punti, livello storico. In Europa lo stesso vale per Francoforte, seguita in misura minore da Milano e Parigi, mentre resta un po' indietro Londra. Dall’altra parte del mondo si vede il Nikkei svettare su punte mai toccate.
In contrapposizione a questa pazza corsa al rialzo dei mercati ci sono i dati macroeconomici. Questi, per l’anno 2020, sono abbondantemente negativi se si confrontano con quelli dell’anno precedente. Un dato su tutti, che può essere il più rappresentativo e sicuramente è il più importante: il PIL. La previsione, secondo il FMI, è quella di una contrazione di circa il 4,5% a livello mondiale. Scendendo a livello più locale viene stimato un calo del 7% circa per UE e del 9% per l’Italia. Gli altri dati non sono di certo confortevoli. Infatti l’ISTAT stima un rialzo della disoccupazione su base annua fino a rasentare il 10% (in questa variabile da tener ben presente anche il blocco dei licenziamenti nel nostro Paese).
Le Banche centrali e i governi, consapevoli di questa situazione, hanno immesso miliardi su miliardi nel sistema per quanto riguarda le prime, mentre i secondi hanno promosso una politica fiscale molto accomodante. L’effetto, più che quello di una ripresa economica, è stato quello di schiacciare i tassi di interesse verso livelli inimmaginabili pochi anni fa. La negatività dei rendimenti (anche a 10 anni e più per qualche Stato) può essere soltanto una trappola per chi crede che questi bond siano di assoluta sicurezza. Se in UE la BCE non acquisterebbe le obbligazioni sovrane, quali tassi richiederebbe il mercato ai singoli Stati?
I debiti nazionali ormai sono del tutto fuori controllo e la parola “remissione (parziale) del debito” è già iniziata a circolare. Probabilmente si può giungere alla conclusione che il rischio dei Titoli di Stato non venga ripagato dal rendimento odierno offerto.
Ricapitolando, si sta assistendo a prezzi azionari bullish, rendimento dei bond che non ripaga il rischio e variabili economiche in netta contrazione. È quindi evidente che ci sia una divergenza: la finanza non sta seguendo l’economia reale. Quest’ultima affanna, mentre i mercati hanno vita propria. Può bastare la prospettiva di ripresa dell’economia, può bastare la dichiarazione di un vaccino contro il Covid a far sì che i mercati scontino il ritorno (e magari il superamento) dei livelli economici ante pandemia?
Questo gap sembra ormai incolmabile, è intrinseco al sistema finanziario. La finanza si muove sempre in anticipo rispetto all’economia, ma oltre ad essere in anticipo (ovviamente gli operatori non possono fare altrimenti che anticipare gli eventi) non tiene in considerazione il breve periodo. È ovvio che nel lungo periodo ci sia una stabilizzazione della situazione e una crescita economica. Ma quanto deve essere lungo questo periodo? Nel breve periodo come possiamo far fronte alla diminuzione dell’attività economica? Alcune aziende possono non farcela, la disoccupazione resterà alta, il debito sovrano non diminuirà in poco tempo. Questo periodo, che può essere anche di qualche anno, i mercati non l’hanno scontato. Sono già alla fase della ripresa. Soltanto la pubblicazione di dati macroeconomici altamente negativi potrebbe riportare i titoli verso i loro valori fondamentali, ma senza certezza proprio per il fatto che chi opera in Borsa si è già posizionato in fase di ripresa economica.
La domanda che dobbiamo porci, alla luce di ciò, è la seguente: ce la faremo a resistere fino al momento in cui i valori fondamentali si riallineano ai prezzi di Borsa odierni?