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I tassi reali positivi sono sempre un male per le azioni?

Pubblicato 12.01.2023, 08:19

Ci siamo. Oggi alle 14:30 i dati ci diranno se la politica monetaria della FED è riuscita nell’intendo di ridurre l’inflazione, la cui dinamica è prevista scendere al 6,5% (dal 7,1% di novembre) e allo stesso tempo non far crescere troppo la disoccupazione. Sempre alla stessa ora infatti saranno rese note le richieste dei sussidi settimanali alla disoccupazione (stima 215k contro 204 della scorsa settimana).
 
Nonostante gli acquisti del periodo natalizio abbiano influenzato i consumi, è possibile che la crescita dei prezzi risulti in frenata maggiore rispetto alle attese. Anche se le stime dovessero essere confermate, non crediamo tuttavia che la FED cambi il proprio orientamento di politica monetaria, che rimarrà quindi restrittiva (del resto, non più tardi di ieri Powell ha ribadito che la riduzione dell’inflazione sarebbe passata da scelte impopolari).
 
La minore dinamica inflattiva è comunque una buona notizia per i mercati che vedono allontanarsi lo spettro della stagflazione. Ulteriori rialzi dei tassi di interesse nominali e riduzione dell’inflazione riporteranno i tassi di interesse reali in territorio positivo nel corso del 2023 (dopo diversi anni in cui sono rimasti negativi), ristabilendo gradualmente il sano equilibrio economico cui più volte hanno fatto cenno i diversi membri del FOMC.
 
Cosa significa per i mercati? Il primo effetto riguarda il quadro generale. L’aumento dei tassi di interesse agisce da freno alla crescita economica, che a sua volta rallenta i profitti delle imprese e quindi può essere negativo per il mercato azionario. Naturalmente, come sappiamo, alcune aziende sono più resilienti di altre in funzione del proprio business.
 
Quando le obbligazioni offrono tassi di interesse più elevati diventano più attraenti per gli investitori. I maggiori rendimenti obbligazionari rendono le azioni meno attraenti, almeno fintantoché il loro rendimento complessivo (incluso il premio per il rischio) non diventa competitivo. E questo apre solitamente la strada ad una flessione dei prezzi delle azioni.
 
Venendo a noi, il punto da capire è se la flessione degli indici azionari del 2022 sia stata sufficiente a compensare il maggiore rendimento offerto dalle obbligazioni. Soprattutto in un’ottica futura.
 
Cosa potrebbe quindi accadere ai mercati azionari? Negli ultimi due anni il mercato azionario si è mosso di pari passo con i rendimenti reali. Ma storicamente non sempre è stato così. Al di fuori dei due periodi in cui la FED ha avviato il QE, le azioni possono muoversi indipendentemente dai tassi reali. Ad esempio, nel 2017 e nel 2018, i rendimenti reali sono più che raddoppiati mentre l’indice Morningstar US Market è aumentato complessivamente del 27%.
 
Questo ci porta ad affermare che esiste una correlazione confusa con il nesso di causalità. E’ innegabile che una correlazione esista, ma non è la causa e l’effetto che ci si aspetterebbe di trovare. Facciamo un esempio per capirci. La performance relativa dei titoli che tradizionalmente scambiano in linea con il mercato obbligazionario, come le utilities, avrebbe dovuto essere negativa in presenza di tassi reali fortemente negativi. In realtà non è stato così e mediamente le utilities stanno andando bene.
 
In altre parole, tassi reali nettamente negativi sono importanti per combattere una recessione. Ma per un’economia che sta crescendo al di sopra del suo potenziale non esiste una giustificazione economica per mantenere tassi reali negativi. Come noto, questi sono stimolanti soprattutto per i titoli growth (come abbiamo avuto modo di sperimentare), ma conducono ad una maggiore volatilità, quale effetto della massa di liquidità che sono in grado di creare.
 
Storicamente le espansioni economiche più lunghe ma soprattutto più stabili sono state quelle in cui i tassi di interesse reali sono stati moderatamente positivi.

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