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Il petrolio oversold dovrà affrontare il dato IPC e la Fed

Pubblicato 12.12.2022, 13:02
Aggiornato 14.08.2023, 12:57
  • I mercati preoccupati per inflazione e aumenti dei tassi probabilmente aspetteranno per una ripresa del petrolio fino all’indice IPC e alla decisione della Fed
  • Crescita annua indice IPC di novembre stimata al 7,3%, rispetto al 7,7% di ottobre
  • La Fed dovrebbe alzare i tassi di 50 punti base, dopo gli aumenti da 75 bps

Il petrolio sembra oversold su ogni grafico tecnico, ma una ripresa duratura potrebbe arrivare solo una volta superati due ostacoli di questa settimana: il dato sull’indice IPC di domani e la decisione della Fed di mercoledì.

Sebbene sia ormai del tutto messo in conto un aumento da 50 punti base a dicembre, gli investitori si focalizzeranno sulle indicazioni sul livello finale dei tassi. E le indicazioni migliori arriveranno dalla conferenza stampa del Presidente Jerome Powell, dopo la decisione sui tassi. Tuttavia, potrebbero esserci degli indizi anche nel report sull’indice sui prezzi al consumo di novembre di domani.

Gli economisti si aspettano che il tasso di inflazione sia rallentato al 7,3%, rispetto alla crescita annua del 7,7% di ottobre.

I recenti dati sull’occupazione USA forti hanno riacceso i timori per l’inflazione, a seguito dell’accelerazione della crescita degli stipendi a novembre.

Dai dati di venerdì è emerso che i prezzi alla produzione USA sono saliti poco più del previsto il mese scorso, e che c’è stato un balzo dei costi dei servizi, ma il trend soggiacente si sta moderando.

I prezzi del greggio hanno appena chiuso la peggiore settimana in 9 mesi, tra le notizie sulla recessione e sul price cap sul petrolio russo.

Negli scambi asiatici di questo lunedì, il londinese Brent con consegna a febbraio sale di 38 centesimi, o dello 0,5%, a 76,48 dollari.

È sceso di quasi 9,50 dollari sulla settimana, pari all’11%. Il minimo intraday del Brent è 75,14 dollari, un livello che non si vedeva dal 23 dicembre 2021, meno di 15 centesimi sopra il supporto chiave di 75 dollari.

Il Brent è sceso dell’1,4% sull’anno, dopo essere schizzato dell’80% a marzo, quando aveva sfiorato i 140 dollari al barile.

Il greggio West Texas Intermediate, o WTI, scambiato a New York, sale di 56 centesimi, o dello 0,8%, a 71,58 dollari al barile alle 07:25 CET.

La scorsa settimana, il riferimento USA è sceso di 9,28 dollari, o dell’11,6%, la settimana peggiore dal 25 marzo. Il minimo della seduta è stato 70,11 dollari, minimo che non si vedeva dal 21 dicembre 2021, praticamente 10 centesimi sopra il supporto di 70 dollari.

A venerdì, il WTI segnava -4,8% sul 2022. A marzo era salito del 73%, poco sopra i 130 dollari al barile.

Il WTI ha tentato di testare il livello psicologico di 70 dollari prima di chiudere la settimana a 71,50 dollari, poco sopra la media mobile esponenziale (EMA) su 50 mesi di 71,90 dollari, anche se sotto la media mobile semplice (SMA) su 200 mesi di 72,50 dollari, spiega Sunil Kumar Dixit, a capo delle strategie tecniche di SKCharting.com.

“Anche se tradizionalmente queste due importanti medie mobili su una finestra temporale più lunga hanno un impatto significativo nonché un enorme potenziale di inversione del trend, è altrettanto importante ricordare che il prevalente trend bearish può farsi più forte”.

Il trade del petrolio, intanto, si prepara ad ulteriore volatilità nel 2023, con il price cap dell’Occidente sul petrolio russo e i problemi per la crescita globale che compensano potenziali impennate della domanda e carenze di forniture.

Da un contesto dominato dalle scorte che aveva fatto schizzare un barile di Brent ad un massimo di 14 anni di quasi 140 dollari a marzo, il mercato è ora dominato dai timori per la domanda, con i trader preoccupati per come andrà l’economia globale nel 2023 se la Fed e la Banca Centrale Europea non smetteranno di alzare i tassi per limitare l’inflazione.

Il price cap di 60 dollari al barile imposto sul greggio russo non è inteso solo a limitare le entrate dal petrolio che vanno a finanziare la guerra di Mosca in Ucraina.

I promotori del price cap (G7, Unione Europea ed Australia) credono che i prezzi degli energetici vadano limitati in modo da bilanciare l’impatto di una profonda recessione.

Ovviamente, per i produttori petroliferi come la Russia, questo ragionamento non vale.

Nota: Barani Krishnan utilizza una varietà di opinioni oltre alla sua per apportare diversità alla sua analisi di ogni mercato. Per neutralità, a volte presenta opinioni e variabili di mercato contrarie. Non ha una posizione su nessuna delle materie prime o asset di cui scrive.

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