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Inflazione cinese sui massimi da 8 anni. Azionario giù per diffusione coronavirus

Pubblicato 10.02.2020, 12:52
Aggiornato 31.08.2022, 18:00

I mercati azionari asiatici hanno aperto la settimana all’insegna della negatività: la diffusione del coronavirus, che ha causato 900 vittime e infettato più di 40.000 persone, con un aumento dei casi registrati fuori dalla Cina, rimane la preoccupazione principale.

Questa settimana la Cina rientra dalle festività prolungate per il Capodanno, ma probabilmente l’attività rimarrà sottotono per qualche settimana, o addirittura per qualche mese, finché le acque non si calmeranno.

A gennaio, l’inflazione dei prezzi al consumo è balzata al 5,4% in Cina. Il mix di aumento dei prezzi della carne suina, domanda più forte per il Capodanno cinese ed epidemia da coronavirus ha spinto l’inflazione cinese ai livelli maggiori da più di otto anni. L’impennata dell’inflazione desta preoccupazioni perché la banca centrale cinese (People’s Bank of China, PBoC) potrebbe avere meno libertà nell’allentare la politica monetaria per sostenere l’economia cinese colpita dall’epidemia di coronavirus, dopo più di un anno e mezzo di frizioni con gli USA sul fronte commerciale.

Il Composite di Shanghai (+0,50%) e l’indice CSI 300 (+0,50%) hanno stornato i rialzi iniziali di lunedì in seguito al via libera della PBoC alla prima fase del programma di prestiti speciali per aiutare le banche regionali nelle aree colpite dal virus, mentre Nikkei (-0,60%) e Topix (-0,72%) sono scesi dopo la notizia che i casi in Giappone, secondo paese più colpito dal virus dopo la Cina continentale, sono saliti a 130.

I future su FTSE (-0,16%) e DAX (-0,24%) suggeriscono un avvio fiacco lunedì. Il FTSE, ad alto tasso di titoli petroliferi, dovrebbe continuare a sentire le pressioni del calo dei prezzi del petrolio in seguito al rifiuto della Russia di aumentare i tagli alla produzione per fermare il crollo dei prezzi del petrolio innescato dal coronavirus.

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Senza il supporto dell’OPEC+, il supporto a $50 del greggio WTI probabilmente cederà alle pressioni ribassiste. I lunghi netti speculativi sul WTI sono scesi ai minimi da due mesi e c’è spazio per un ulteriore declino.

I beni rifugio sono saliti marginalmente in Asia, ma le transazioni dettate dal panico sono state abbastanza contenute. Lo yen ha scambiato appena sotto la soglia a 110 contro il dollaro USA. L’oro è avanzato fino a $1576 all’oncia.

Il rendimento dei decennali USA è sceso sotto l’1,60%, nonostante il solido rapporto sul lavoro di venerdì. A gennaio l’economia USA ha creato 225.000 nuovi posti di lavoro nel settore non agricolo, a fronte dei 160.000 previsti dagli analisti e dei 147.000 registrati il mese precedente. Lunedì gli investitori si concentreranno sulla proposta di Finanziaria per il 2021 della Casa Bianca, nel caso in cui Donald Trump ottenesse il secondo mandato alle elezioni di novembre; martedì e mercoledì ci sarà l’audizione al Congresso del governatore della Federal Reserve (Fed) Jay Powell. Probabilmente Powell parlerà delle potenziali implicazioni del coronavirus sulla crescita, ma la Fed dovrebbe mantenere invariata la sua impostazione neutrale per quanto riguarda la politica monetaria.

L’indice del dollaro USA ha raggiunto il massimo da quattro mesi sulla scia del rapporto occupazionale migliore delle attese.

L’euro ha ampliato le perdite, calando a 1,0940, contro il biglietto verde più forte; venerdì la contrazione del 3,5% nella produzione tedesca ha rinfrancato le colombe della Banca Centrale Europea (BCE). La divergenza nelle aspettative – Fed invariata e BCE colomba – dovrebbe accrescere la pressione verso il livello a 1,09.

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Il cable ha consolidato le perdite intorno al livello 1,29, prima dei dati, in uscita martedì, sul PIL del quarto trimestre e sulla produzione di dicembre. Alla luce dei segnali inequivocabili che i negoziati commerciali bilaterali fra Regno Unito e paesi UE saranno turbolenti e delle crescenti apprensioni che i sondaggi condotti fra le aziende dopo le elezioni possano non tradursi in dati concreti, cifre deboli riferite a crescita e produzione nel Regno Unito potrebbero esercitare ulteriori pressioni a vendere sulla sterlina.

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