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La BCE dopo Draghi: il tedesco Weidmann ha la stoffa giusta?

Pubblicato 29.05.2019, 13:46
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Il fischio di inizio per sostituire Mario Draghi a capo della Banca Centrale Europea (BCE) al termine del suo mandato il 31 ottobre è ufficialmente stato dato. E sembra che il tedesco Jens Weidmann sia in prima linea.

Con i leader dell’Unione Europea riunitisi ieri per discutere dell’assegnazione dei principali ruoli del blocco sulla scia delle elezioni UE del fine settimana, il “consiglio economico” dei Cristiani Democratici tedeschi al governo (un circolo di discussione che coordina la politica con i sostenitori del partito) ha fortemente appoggiato Weidmann. Il suo presidente, Werner Bahlsen, ha stroncato l’attuale politica della BCE definendola un sussidio indiretto all’Italia ed affermando che “è assolutamente necessario che la politica dei tassi di interesse faccia un’inversione di rotta”.

Sebbene il nome della Cancelliera Angela Merkel non sia stato neanche minimamente portato avanti, non ci sono dubbi che il più grande paese della zona euro intenda combattere per avere di nuovo un tedesco a capo della valuta tedesca (l’euro), 20 anni dopo aver lasciato il marco.

Per molti, non sarà una bella notizia. Non è esagerato dire che, se la zona euro fosse stata guidata dalle scelte politiche professate da Weidmann negli ultimi otto anni, non ci sarebbe stata una presidenza della BCE a cui aspirare. Il progetto della moneta unica sarebbe esploso in quanto il rifiuto di sovvenzionare i debiti italiani avrebbe portato il paese al default ed alla reintroduzione della lira.

Al contrario, l’allora presidente Mario Draghi ha promesso di fare “tutto il possibile per difendere l’euro” ed è andato avanti mantenendo questa promessa con una serie di politiche poco convenzionali che hanno evitato il disastro economico nella regione.

Weidmann non ha mai rinunciato alla sua opposizione al meccanismo di acquisto di bond creato da Draghi per tamponare la crisi, le cosiddette “Transazioni Monetarie Dirette”. Ha anche opposto resistenza all’allentamento quantitativo che Draghi ed il suo capo economista belga Peter Praet sono finalmente riusciti a far adottare dalla BCE nel 2015 e che ha fornito all’economia della zona euro un tasso di crescita rispettabile fino al rallentamento dello scorso anno.

Tutto questo sembra porre il presidente della Deutsche Bundesbank dal lato sbagliato della storia, rendendolo difficile da far accettare al resto della zona euro. E non solo perché le politiche a cui si è opposto hanno funzionato per un periodo di sette anni, il che dovrebbe farle considerare più che una soluzione a breve termine. Ma anche perché questo suggerisce un radicato conservatorismo ed un’inflessibilità che il prossimo presidente della BCE non potrà permettersi.

Come ha scritto Lucrezia Reichlin, ex direttrice di ricerca della BCE, in un recente articolo per Project Syndicate:

“Nell’eventualità di un altro rallentamento, la limitata capacità fiscale in alcuni paesi, insieme all’assenza di strumenti di stabilizzazione comuni, suggerisce che la BCE dovrà spostare ulteriormente e più che mai il confine delle politiche non convenzionali”.

Con lo scontro commerciale tra Stati Uniti e Cina che si intensifica, c’è il crescente rischio che la BCE vada incontro al prossimo rallentamento con il suo tasso di interesse di riferimento già allo 0% (ed il tasso di deposito a -0,4%), con poco spazio di manovra per supportare l’economia tramite la politica monetaria. Cercare di tagliare ulteriormente i tassi comporterà il rischio di generare più pressione di quanto un sistema bancario debole possa gestire. Similmente, una ripresa del QE incorrerebbe presto nei limiti della BCE sul fare incetta di debiti governativi.

Tra i tabù che potrebbero dover essere infranti ci sono l’attuale obiettivo della BCE di una inflazione di “poco meno del 2%”, che secondo Reichlin dovrebbe perdere la sua inclinazione verso il basso.

Parole simili sono state adottate solo negli anni Novanta per rassicurare i tedeschi del fatto che la BCE sarebbe stata tanto inflessibile sull’inflazione quanto la Bundesbank, ma hanno spinto la banca centrale a spendere la metà dei suoi salvataggi contro il pericolo sbagliato, mentre trend come l’automazione, la digitalizzazione e l’integrazione della Cina nell’economia mondiale hanno generato intense e sostenute pressioni ribassiste sui prezzi.

Paradossalmente, il bisogno di un maggiore radicalismo potrebbe essere proprio la ragione che rende Weidmann la scelta migliore per il ruolo. È certo che il prossimo rallentamento costringerà la BCE a fare cose che saranno decisamente impopolari in Germania, quindi chi meglio di un tedesco per vendere queste politiche?

Inoltre, la presenza stessa di un tedesco sullo scranno principale potrebbe contribuire a prevenire il più grande rischio evidente per la stabilità dell’euro: un confronto con l’Italia sul deficit di bilancio e sui livelli di debito. Matteo Salvini, vice Primo Ministro italiano e Ministro degli Interni, ieri ha reso nota la sua intenzione di far sì che la BCE garantisca i debiti pubblici. Probabilmente sarà liquidato senza troppi complimenti dalla coppia composta da Weidmann e Luis de Guindos, ex Ministro delle Finanze spagnolo attualmente vice Presidente della BCE. Nel suo precedente ruolo quest’ultimo ha avuto l’ingrato compito di implementare un programma di austerity.

Oltre al fatto che il processo di nomina dovrà essere completato entro la scadenza del contratto di Draghi, non c’è nulla di certo sul processo stesso. Chiunque ottenga il ruolo erediterà il dovere di garantire la sopravvivenza dell’euro. Grazie all’inventiva di Draghi, il quarto presidente della BCE avrà più strumenti a disposizione per far fronte a potenziali shock rispetto ai suoi predecessori. Lui o lei avranno bisogno di tutti questi strumenti e, volenti o nolenti, anche di altri lungo la strada.

Tra gli altri possibili candidati a succedere a Mario Draghi troviamo:

1. Francois Villeroy de Galhau, Presidente della Banca di Francia

Pro: esperienza pertinente

Contro: la Francia ha già avuto un Presidente della BCE (Jean-Claude Trichet, mandato: 2003-2011)

2. Benoit Coeure, membro del direttivo della BCE

Pro: molto stimato a livello globale per il suo lavoro a capo della divisione mercati della BCE

Contro: francese, ed il suo mandato di otto anni non è rinnovabile

3. Sylvie Goulard, Banca di Francia, vice Governatore

Pro: esperienza all’interno di banche centrali ed istituti UE, essendo stata membro senior della commissione per gli affari economici e monetari del Parlamento; donna

Contro: francese; dopo Villeroy nella gerarchia nazionale; il Presidente Macron potrebbe dare priorità all’alleata Margrethe Vestager come presidente della Commissione Europea

4. Olli Rehn, Governatore della Banca di Finlandia

Pro: esperienza di crisi della zona euro come Commissario per gli Affari Economici e Monetari; recente proposta di ripensare il quadro politico della BCE che dimostra una comprensione dei problemi futuri

Contro: responsabilità condivisa di scelte politiche e presentazione deludenti durante i salvataggi post-crisi, in particolare nel rifiutare di prendere atto della bancarotta della Grecia

5. Erkki Liikanen, ex Governatore della Banca di Finlandia

Pro: esperienza sia come membro della BCE che come Commissario Europeo; profonda comprensione del settore bancario europeo

Contro: età (68)

6. Claudia Buch, Vice Presidente della Deutsche Bundesbank

Pro: nazionalità (garantirebbe equilibrio nordeuropeo alla direzione della BCE, dato che il vice-presidente De Guindosè spagnolo); donna

Contro: mancanza di esperienza in alta dirigenza o politica

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