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L'inflazione Europea frena poco. Tassi sopra il 4%? E i mercati?

Pubblicato 28.02.2023, 06:15

Ieri il dato di M3 di gennaio dell’Europa è risultato in contrazione (3,5% contro 3,9% atteso). La base monetaria, nonostante risulti ancora in espansione, indica tuttavia una contrazione dell’attività produttiva. In USA gli ordini di beni durevoli MoM sono risultati peggiori delle aspettative (-4,5% contro -4% atteso e +5,1% di dicembre).
 
Portare l’inflazione all’obiettivo del 2% in modo tempestivo. Questo le parole del gufo o civetta (come ama definirsi) della Lagarde. Battute a parte, quello che si sa è che il 16 marzo prossimo la BCE aumenterà di ulteriori 50 bp i tassi. Per quanto riguarda il meeting di maggio, la Lagarde correttamente non si sbilancia. Il che significa che potrebbero esserci ulteriori aumenti di 50 bp. Dipenderà dai dati di inflazione soprattutto di fondo, che resta sui livelli massimi storici al 5,3%.
 
La Lagarde è convinta che nei prossimi mesi la crescita dei prezzi possa frenare. Non siamo tuttavia così sicuri che la frenata sarà così convincente. Probabilmente dovremo aspettare il 2024 per vedere qualcosa di più concreto. E questo per diversi motivi, tra i quali:
•                  la resistenza alla discesa dell’inflazione di fondo, che sta a significare come la crescita dei prezzi sia ormai infiltrata in gran parte dei settori produttivi e dei servizi. E una volta cresciuti, i prezzi difficilmente scendono;
•                  l’effetto di “sostituzione” dei fornitori cinesi con fornitori di altre zone del mondo, tra le quali Europa e America che ha fatto crescere i prezzi. La fase di sostituzione non si sta rivelando rapida nè tantomeno indolore e, una volta terminata i prezzi rimarranno probabilmente più alti (anche se smetteranno di crescere);
•                  le politiche fiscali di sostengo al caro energia, che stanno lavorando in modo contrario alla politica fiscale, sostenendo l’inflazione;
•                  storicamente è stato relativamente semplice far scendere l’inflazione dai livelli molto elevati a livelli più contenuti. Molto più complesso è stato invece fare l’ultimo miglio (per esempio dal 3% al 2%).
 
Storicamente quando l’inflazione è cresciuta così tanto come è avvenuto nelle economie avanzate negli ultimi mesi, sono stati necessari diversi anni perché potesse ritornare a livelli accettabili. In un recente report Merryl Lynch ha analizzato quanto tempo è stato necessario negli ultimi quarant’anni perché l’inflazione tornasse al 2% dopo aver superato un livello del 5%. La risposta è stata 10 anni.
 
I mercati stanno però scommettendo in una rapidissima disinflazione, mai avvenuta nella storia economica recente e soprattutto senza che si verificasse una profonda fase di recessione. Ma c’è sempre una prima volta. L’incertezza però continua. E non potrebbe essere altrimenti con una guerra in corso. Per i mercati, che sono sempre banche centrali dipendenti, diventa quindi cruciale chiedersi dove andranno a finire i tassi di interesse nel 2023?
 
L’aumento dei tassi potrebbe infatti fermarsi al 4%, livello che rappresenterebbe una sorta di compromesso tra la necessità di ridurre la corsa dei prezzi e portare il sistema economica verso un soft landing. Ma potrebbe anche raggiungere livelli più elevati e compatibili con il “portare l’inflazione rapidamente all’obiettivo del 2%”. Soprattutto se la crescita dei prezzi in Europa dovesse superare nel corso del 2023 il 6% in media e rimanere stabilmente sopra di quella degli USA.
 
Per combattere l’inflazione in modo significativo i tassi di interesse di riferimento dovrebbero mantenersi per un periodo prolungato più alti del tasso di inflazione (il tasso reale dovrebbe rimanere a lungo positivo). Ma nel breve periodo questo condurrebbe probabilmente il sistema economico verso un qualcosa che assomiglia di più ad un hard landing.
 
Poco chiara appare inoltre la durata dello squilibrio economico per riportare l’inflazione al livello obiettivo e quale sarà il tasso reale compatibile con una crescita economica sostenibile nel lungo periodo. Ovviamene questo aspetto è fondamentale per cercare di capire le performance dei mercati finanziari nel 2023.
 
Rimaniamo convinti che il 2023 possa portare interessanti opportunità di investimento. Per esempio in tutte quelle società il cui prezzo già sconta la contrazione registrata dai rispettivi settori di appartenenza. Nell’incertezza è comunque possibile individuare società nelle aree tecnologiche, dei consumi e industriali che stanno già scontando un rallentamento significativo. Ai livelli attuali di prezzo, una buona parte di titoli di questi settori crediamo offra un rischio/rendimento interessante.
 
Di una cosa siamo comunque certi: il prossimo decennio di leadership del mercato azionario sarà probabilmente molto diverso da quanto visto recentemente: il picco della globalizzazione, l’onshoring e i crescenti rischi geopolitici stanno creando cambiamenti strutturali significativi all’interno dell’economia Europea e questo contribuirà a tenere mediamente più elevati i tassi di interesse e l’inflazione rispetto agli ultimi 10 anni. La maggiore consapevolezza della disruption tecnologica, che ha costituito uno dei maggiori talloni d’Achille delle aziende value negli ultimi dieci anni, contribuirà probabilmente a sostenerne gli utili. Questi cambiamenti avvantaggeranno le società con flussi di cassa a breve termine.

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