L’inflazione sta salendo, la Federal Reserve sta reagendo lentamente, e i rendimenti dei Treasury decennali restano ostinatamente bassi, oscillando sotto l’1,5%.
Cosa significa?
Gli analisti cominciano a suggerire che né la Fed né il governo intendono fare qualcosa per l’inflazione, anche se continuano a dire di volerla combattere. Piuttosto, il piano è di abbassare l’enorme debito USA con l’inflazione per renderlo più gestibile.
L’esperto di strategie di investimento Rida Morwa questa settimana ha paragonato la situazione attuale al periodo durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale, leggendo i segnali dei rendimenti dei Treasury come a rispecchiare quelli dell’epoca. Dal momento che tagli di budget e tasse più alte sono politicamente impopolari, conclude che:
“Una quantità significativa di inflazione è l’unica soluzione che ha il governo USA per gestire debiti ed obbligazioni”.
Questa idea sembra spiegare perché la Fed stia ostinatamente ignorando l’aumento dell’inflazione (non definendola più transitoria nel senso di temporanea) e andando a rilento con l’inasprimento della politica monetaria. Spiega anche perché il governo stia allegramente programmando di spendere migliaia di miliardi di dollari dopo quelli già spesi per fronteggiare il COVID-19.
Gli investitori dei bond procedono con cautela; incombe la possibilità di una recessione
Invece, molti analisti pensano che dei rendimenti bassi dei Treasury segnalino una recessione, o almeno un grave rallentamento in generale. Ciò potrebbe portare ad un’inflazione minore ed essere un motivo per far restare bassi i rendimenti.
Scegliamo il male minore.
Quello che nessuno mette in dubbio è che la pandemia e la risposta dei governi al coronavirus hanno creato una situazione senza precedenti nella storia. Un investitore cauto sicuramente procederebbe con prudenza in questo contesto.
Il rendimento del riferimento decennale rispecchia questa cautela. Dopo essere crollato a quasi lo 0,5% all’arrivo del COVID-19, il rendimento è brevemente balzato sopra l’1,75% all’inizio dell’anno, nell’ottimismo per i vaccini prima che l’inflazione si facesse sentire. Da allora, raramente ha infranto l’1,5%.
Rispetto al quasi 4% sulla scia della crisi finanziaria o oltre il 3% di fine 2018, non sembra un segnale incoraggiante. Con l’inflazione che probabilmente persisterà ben al di sopra del 2% il prossimo anno ed oltre, la prospettiva di tassi di interesse reali negativi continua a causare preoccupazione.
Gli scambi saranno ridotti nelle ultime due settimane dell’anno. I mercati dei bond chiuderanno prima domani e resteranno chiusi venerdì per le feste natalizie. Ciò peggiorerà la volatilità delle ultime settimane, con gli investitori che valutano l’inasprimento della politica monetaria alla luce della nuova ondata di contagi causata dalla variante Omicron.
È forse la chiusura adatta per un anno turbolento, segnato dall’incertezza. I titoli azionari sono stati sulle montagne russe, ma salendo stabilmente e registrando massimi storici, mentre i rendimenti dei Treasury sono rimasti in un range più stretto.
Le banche centrali hanno perlopiù ignorato l’inflazione fino a qualche settimana fa e gli investitori le hanno seguite a ruota. Tuttavia è sempre più difficile ignorare l’impatto dell’enorme iniezione di liquidità degli acquisti di asset delle banche centrali. Non c’è bisogno di essere esperti monetari per domandarsi se le cose non si siano spinte troppo in là.