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USA e Cina sono troppo unite per un serio derisking

Pubblicato 08.03.2024, 05:55

Quando soffia il vento del cambiamento alcuni costruiscono muri, altri mulini a vento (proverbio Cinese).

Produzione industriale MoM di gennaio della Germania in uscita oggi alle 8:00 (stima +0.6% contro -1.6% di dicembre) e prezzi alla produzione MoM sempre di gennaio (stima +0.1% contro -1.2% di dicembre). Secondo lettura del PIL QoQ del 4Q23 dell’Europa che non dovrebbe riservare sorprese rispetto ad una variazione pari a zero della prima lettura (-0.2% nel 3Q23). Alle 14:30 sono attesi i dati dell’occupazione USA che la Fed monitora attentamente: variazione occupati di febbraio (stima 190k contro 353k di gennaio) e il tasso di disoccupazione di febbraio, atteso stabile al 3.7%.
 
Ieri la BCE ha lasciato invariati i tassi di interesse, come era nelle nostre attese. La BCE ha continuato a rivedere al ribasso le stime sulla crescita economica che, per il 2024, sono ora dello 0.6% (0.8% le stime di dello scorso dicembre). L’attività economica dovrebbe riprendere vigore nel 2025 (+1.5%) e nel 2026 (+1.6%), sostenuta inizialmente dai consumi e in seguito dagli investimenti. L’inflazione è vista in media al 2,3% nel 2024, al 2% nel 2025 ed all’1,9% nel 2026. La revisione al ribasso della crescita economica è dovuta agli effetti della politica monetaria restrittiva, che continua ad incidere sulla domanda.
 
Il Consiglio direttivo si è detto determinato ad assicurare il ritorno tempestivo dell’inflazione all’obiettivo del 2% a medio termine. In base alla sua attuale valutazione, ritiene che i tassi di interesse di riferimento della BCE si collochino su livelli che, mantenuti per un periodo sufficientemente lungo, forniranno un contributo sostanziale al conseguimento di tale obiettivo. Le decisioni future del Consiglio direttivo assicureranno che i tassi di riferimento siano fissati su livelli sufficientemente restrittivi finché necessario. Non cambia quindi la narrazione di seguire un approccio guidato dai dati
 
In linea con le attese le richieste di sussidi settimanali alla disoccupazione USA a 217k (215k la scorsa settimana) e in crescita rispetto alle attese la produttività QoQ del 4Q23 al 3.2% (3.1% attesa e 4.9% nel 3Q23). Se i dati del lavoro di oggi dovessero rivelarsi ancora forti, è probabile che la Fed tenda spostare ancora più avanti (settembre?) il taglio dei tassi. Se così fosse, è probile che la BCE possa tagliare i tassi prima della Fed.
 
I dati del commercio tra USA e Cina, sembrano supportare la narrazione del "derisking". Le importazioni statunitensi dalla Cina, ad esempio, hanno rappresentato solo il 13,9% dell’import totale nel 2023, in calo rispetto al record del 21,6% del 2017. Le importazioni di merci statunitensi dalla Cina sono diminuite del 20% l'anno scorso, mentre le esportazioni statunitensi verso il continente sono scese del 4%, secondo il Bureau of Economic Analysis. Complessivamente, il totale del commercio di merci tra Stati Uniti e Cina si attesta ora su minimi pluriennali.
 
Il Messico, con molto clamore mediatico, è stato il principale fornitore di importazioni per l'America nel 2023. Date queste cifre e le tendenze sottostanti, è lecito pensare che le due economie più grandi del mondo stiano procedendo verso una separazione economica amichevole. E per associazione, che il derisking non sia stato così minaccioso e disturbante né per le aziende USA né per i mercati finanziari. Chi dice che separarsi è difficile? Washington e Pechino sembra lo stiano facendo sembrare facile e indolore, dando conforto ai mercati.
 
La scomoda verità è che le cifre commerciali tradizionali non forniscono un quadro completo degli enormi interessi commerciali dell'America in Cina. Questi interessi non si basano solo sul commercio. Sono piuttosto costruiti principalmente sugli investimenti diretti esteri (FDI) degli Stati Uniti in Cina e sulle attività concomitanti delle affiliate estere statunitensi che operano nel paese. Questi particolari aspetti del commercio sono poco riconosciuti o compresi a Wall Street e potrebbero portare gli investitori a sottovalutare gli effetti avversi potenziali di una rottura tra Stati Uniti e Cina.
 
All'ultimo conteggio, il numero di affiliate statunitensi in Cina (1.956 nel 2021, l'ultimo anno di dati disponibili) ha superato il numero di affiliate in mercati come Germania, Francia, Giappone e praticamente tutta l'America del Sud. Queste affiliate impiegavano oltre 1,2 milioni di lavoratori cinesi, producevano quasi 100 miliardi di dollari di output totale annualmente in Cina, spendevano oltre 5,5 miliardi di dollari in ricerca e sviluppo e generavano 472 miliardi di dollari in vendite affiliate (tutte le cifre provengono dal Bureau of Economic Analysis).
 
Le vendite delle affiliate in Cina, per inciso, sono tra le più grandi al mondo e sono oltre tre volte più grandi di quanto gli Stati Uniti esportino in Cina in un anno. In altre parole, le esportazioni statunitensi in Cina non catturano nemmeno l'inizio di quanto business la Cina genera per le aziende americane ogni anno.
 
In sintesi, la Cina rimane uno dei mercati esteri più redditizi al mondo per le aziende americane, in particolare per quelle che producono beni di consumo, alimentari e bevande, automobili e prodotti correlati. La presenza delle aziende tecnologiche statunitensi in Cina è minima a causa delle restrizioni agli investimenti, anche se il continente rimane un mercato chiave per molti produttori di chip statunitensi. Il derisking ha messo anche queste ultime nel mirino.
 
E’ vero, le aziende statunitensi hanno iniziato a diversificare le loro catene di approvvigionamento incentrate sulla Cina. Ma ciò non significa che stiano rinunciando alla Cina. Anzi. Con le spese per consumi personali della Cina che hanno superato i 6,7 trilioni di dollari nel 2022, l'ultimo anno di dati disponibili dalle Nazioni Unite (ONU), il potere/il potenziale di consumo della Cina rimane tra i più grandi e robusti al mondo. Nel solo 2022, la Cina ha rappresentato circa il 30% del consumo personale totale dei paesi in via di sviluppo, secondo i dati delle Nazioni Unite.
 
E questo ci porta al nocciolo della narrazione del derisking. E’ vero inoltre che le aziende statunitensi hanno avuto successo nel trovare fonti alternative di approvvigionamento al di fuori della Cina. Ma è altrettanto vero che trovare fonti alternative di domanda dalla Cina, non è stato altrettanto facile o addirittura possibile. Per esempio: l'India è un'alternativa legittima alla Cina per quanto riguarda l'approvvigionamento di manodopera e la riconfigurazione delle catene di approvvigionamento globali. Tuttavia, è ancora lontana dall'essere pronta per compensare la Cina come fonte di domanda, considerato che il reddito pro-capite dell’India non arriva neanche ad un terzo di quello della Cina.
 
Morale: la Cina conta ancora. Il derisking comporta rischi per gli utili delle grandi aziende statunitensi. Non si può ignorare il derisking tra Stati Uniti e Cina senza prima dissezionare i diversi canali attraverso i quali le aziende USA operano in una delle economie più grandi al mondo. Non si tratta solo dei mezzi tradizionali di commercio (esportazioni e importazioni). Occorre includere gli investimenti esteri e le attività delle affiliate estere. E quando viste attraverso questa lente, le cose diventano molto più complesse e complicate e molto più rischiose, soprattutto per le molte multinazionali statunitensi che hanno investito milioni di dollari in Cina negli ultimi decenni.
 
Date le spinte della Cina verso l'autosufficienza e l'abbraccio bipartisan anti-Cina degli Stati Uniti sul commercio e gli investimenti, gli investitori dovrebbero aspettarsi più volatilità e incertezza intorno agli utili delle grandi aziende statunitensi più esposte alla Cina. Le esposizioni chiave del settore si concentrano su beni di consumo, alimentari e bevande, trasporti e servizi finanziari.
 
 
 
 

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