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USA: soft landing sempre più probabile, ma volatilità in aumento sui mercati

Pubblicato 06.03.2024, 08:17
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Nessuno di noi può cambiare i nostri ieri, ma tutti noi possiamo cambiare i nostri domani (Colin Powell).

Vendite al dettaglio dell’Europa MoM di gennaio in uscita oggi alle 11:00 (stima +0.1% contro -1.1 di dicembre). Occupati del settore privato USA (ADP) di febbraio alle 14:15 (stima 145k contro 107k di gennaio).
 
Nessuna sorpresa ieri dalla seconda lettura del PIL QoQ del 4Q23 dell’Italia, cresciuto dello 0.2% rispetto al 3Q23. In crescita maggiore sia rispetto alle attese (49.2 punti contro 48.9 stimato) sia rispetto a gennaio (47.9 punti) il PMI composito di febbraio dell’Europa. Ancora in calo i prezzi alla produzione dell’Europa MoM di gennaio (-0.9% contro -0.1% atteso e -0.9% di gennaio). Maggiore delle aspettative è risultato il PMI composito USA di febbraio (52.5 punti contro 51.4 di gennaio e 52 di gennaio), cosi come più alto delle attese (52.3 punti contro 51.3 stimato), ma minore di gennaio (52,5 punti) è risultato il PMI servizi di febbraio. In contrazione e più basso delle attese l’ISM non manifatturiero di gennaio (52.6 punti contro 53 atteso e 53.4 punti di dicembre).
 
I mercati azionari mondiali e quelli USA in particolare sono in attesa per la testimonianza di Powell di giovedì 7, sulle prospettive economiche e per l'aggiornamento sull'occupazione del Dipartimento del Lavoro di venerdì e il discorso della Lagarde a seguito del meeting della BCE pure fissato per il 7 marzo. Gli eventi si profilano tutti come potenzialmente determinanti per i mercati, che tradotto significa che gli investitori farebbero bene a prestare attenzione alla prospettiva di una maggiore volatilità.
 
I mercati hanno appena concluso un mese durante il quale i numeri inaspettatamente elevati dell’indice dei prezzi al consumo (CPI) e dell’indice dei prezzi alla produzione (PPI) di gennaio, combinati con alcuni altri dati economici forti, hanno provocato un forte calo delle aspettative del mercato per i tagli dei tassi della Fed, riallineandosi di fatto con quest’ultima.
 
Un’altra misura dell’inflazione, il rapporto sull’indice dei prezzi delle spese per i consumi personali (PCE) pubblicato la scorsa settimana, si è rivelato in gran parte come previsto, allentando in una certa misura le preoccupazioni su un possibile aumento delle pressioni sui prezzi. Ma i leader della Fed hanno ripetutamente affermato che hanno bisogno di vedere più dati prima di convincersi che l’inflazione sia scesa in modo sostenibile fino all’obiettivo a lungo termine del 2%. Di conseguenza, molti analisti prevedono ora un primo taglio dei tassi al più presto a giugno o luglio. Secondo l’ultima rilevazione del FedWatch Tool del CME, i trader valutano una probabilità del 97% che l'obiettivo dei fondi federali rimanga invariato al 5,25-5,5% dopo la riunione del FOMC del 19-20 marzo e una probabilità del 78% che lo stesso rimanga invariato anche dopo la riunione di maggio del FOMC. Sono al 52% invece le previsioni che indicano un taglio dei tassi nel meeting di giugno. Ma prima di giugno ci sono ancora numerosi dati in uscita.
 
Inoltre, il rapporto sull'occupazione di venerdì terrà sicuramente conto delle aspettative sulla politica dei tassi di interesse della Fed. Secondo Trading Economics, a febbraio le buste paga non agricole sono cresciute di circa 200.000 unità. Sarebbe in calo rispetto ai 353.000 inaspettatamente forti di gennaio dovuti per lo più al settore pubblico. Nel corso del 2023 le buste paga sono aumentate in media di 255.000 unità al mese.
 
Secondo la nostra analisi, riteniamo che i mercati adottino prospettive macroeconomiche a breve termine più favorevoli rispetto a solo due mesi fa. Secondo la nostra analisi, negli Stati Uniti ci aspettiamo che l’inflazione scenda vicino al target del 2% entro la fine dell’anno (sempre in assenza di eventi straordinari). Questo significa mantenere sovrappesati i titoli azionari statunitensi perché riteniamo che la propensione al rischio positiva possa persistere ed estendersi oltre l’intelligenza artificiale.
 
La robusta crescita statunitense, i prossimi tagli dei tassi della Fed e il calo dell'inflazione hanno infatti attenuato le preoccupazioni di una recessione. A nostro avviso, questa è una buona notizia anche per gli asset dei mercati emergenti (EM). Vedremmo quindi di buon occhio anche un sovrappeso sul debito emergente in valuta forte, per lo più denominato in dollari statunitensi, poiché gli spread sembrano più equamente valutati rispetto all'high yield statunitense. Prevediamo che gli spread creditizi più ampi resteranno contenuti per il momento, dato il contesto favorevole all’assunzione di rischi e la forte domanda di nuove emissioni di obbligazioni IG statunitensi e obbligazioni di credito high yield statunitensi.
 
Per riassumere, crediamo che lo scenario imponga agli investitori di rimanere granulari e agili nel cogliere le opportunità che si andranno profilando all’orizzonte, mentre l’inflazione scende e la Fed (ma anche la BCE) prepara tagli dei tassi di interesse.
 
Esistono ovviamente alcuni rischi che vogliamo ricordare. Tra questi, intravediamo un rischio che potrebbe causare un ampliamento degli spread high yield. Secondo i dati di BlackRock (NYSE:BLK) Aladdin, circa il 10% del valore di mercato del debito high yield dell’Eurozona scadrà nel 2025, il 6% del debito high yield statunitense – e ancora di più l’anno prossimo. Riteniamo che non si tratti di un importo esorbitante e quest'anno anche gli emittenti high yield con il rating più basso saranno in grado di rifinanziare il debito. Tuttavia, a nostro avviso, il rifinanziamento a tassi di interesse più elevati rispetto a quelli in scadenza, potrebbe mettere alla prova i modelli operativi che presupponevano che i tassi sarebbero rimasti bassi. Vedremo.
 
 
 
 
 

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