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La Cina sarà decisiva nel tiro alla fune tra Biden e l’OPEC

Pubblicato 17.08.2021, 18:22
© Investing.com

Di Geoffrey Smith 

Investing.com - Il tiro alla fune tra Joe Biden e l’OPEC potrebbe finire prima ancora di cominciare, e non in un modo piacevole per il Presidente USA.

Il Consigliere alla Sicurezza Nazionale di Biden Jake Sullivan ha esortato i maggiori esportatori di petrolio al mondo ad aumentare la produzione la scorsa settimana, dopo che i prezzi della benzina negli Stati Uniti hanno toccato il massimo in sette anni.

Notando che i prezzi del greggio ora si trovano al di sopra del livello precedente alla pandemia, Sullivan ha affermato che “costi della benzina più alti, se non controllati, minacciano di danneggiare la ripresa globale in atto”.

E invece no, ha ribattuto l’Organizzazione dei Paesi Esportatori di petrolio nel fine settimana: un articolo di Reuters che cita quattro fonti anonime all’interno del blocco asserisce che c’è abbastanza greggio da soddisfare la domanda globale, ricordando alla gente che il suo accordo con la Russia ed altri paesi prevede l’arrivo di altri 400.000 barili al giorno sul mercato mondiale ogni mese fino a quando non saranno cancellati tutti i tagli di emergenza della produzione dello scorso anno.

Sullivan avrebbe potuto risparmiare il fiato. I prezzi stanno scendendo rapidamente in ogni caso, soprattutto a causa di fattori che esulano dal controllo dell’OPEC o di Washington.

Alle 12 ET (16:00 GMT) di martedì, i future del greggio USA si attestavano a 66,72 dollari al barile, oltre il 13% in meno dai massimi di inizio mese. Il Brent, il riferimento globale, è crollato di quasi l’11% dal picco.

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La domanda in Cina sta rallentando nettamente, con l’approccio a tolleranza zero di Pechino nei confronti del Covid-19 che fatica a contenere la diffusione dei focolai. I conseguenti lockdown pesano duramente sulla domanda di carburante: secondo i dati di Baidu (NASDAQ:BIDU), la mobilità interurbana in Cina è crollata nella prima metà di agosto. Solo la scorsa settimana, gli spostamenti da e verso Pechino e Shanghai hanno registrato tonfi rispettivamente del 37% e del 23%. Prendendo in considerazione le maggiori città, nel complesso è crollata del 15% sulla settimana e del 37% rispetto alla media di luglio.

In queste condizioni, la Cina, il principale importatore mondiale, ha veramente poco bisogno di comprare greggio sul mercato a 70 dollari al barile quando ha letteralmente montagne di greggio comprato a un prezzo stracciato lo scorso anno. Essendo la Cina responsabile del 13% della domanda petrolifera mondiale, un improvviso stop delle sue importazioni ha un impatto sui prezzi mondiali.

In effetti, come hanno mostrato i dati sulla produzione industriale cinese all’inizio della settimana, le raffinerie cinesi hanno tagliato la loro produttività al minimo di 14 mesi a luglio, facendola scendere su base annua per la prima volta dal marzo dello scorso anno, all’apice della prima ondata della pandemia. Reuters riporta che, secondo quanto dichiarato lunedì da un funzionario delle raffinerie cinesi, questo mese sono previsti tagli di un altro 3% dell’attività di raffinazione.

Oltre a questo, la diffusione del coronavirus comincia ovviamente a pesare sulle intenzioni degli americani di viaggiare all’interno del proprio paese, soprattutto dal momento che il tasso di contagio in Florida, la principale destinazione turistica della nazione, al momento è alle stelle, con i ricoveri per Covid-19 ben al di sopra dei picchi precedenti.

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I dati della Transportation Security Administration mostrano che il numero di passeggeri che transitano negli aeroporti statunitensi è sceso in ciascuno degli ultimi due fine settimana, suggerendo che l’impennata iniziale della domanda inevasa di viaggi si sta scontrando nuovamente con la cautela. I dati della TSA hanno rivelato che il numero dei passeggeri lo scorso weekend è crollato del 3,5% sulla settimana, e di oltre il 5% rispetto all’ultimo fine settimana di luglio.

In uno scenario ottimistico per il greggio, la Cina si libererà rapidamente da questi focolai di Covid-19 e tornerà ai livelli record di consumo che registrava solo due mesi fa. Allo stesso tempo, un nuovo slancio della campagna di vaccinazione negli Stati Uniti farà scendere il tasso di contagio, consentendo alla domanda del principale consumatore mondiale di colmare il divario con il livello pre-pandemia. Che tutto ciò possa essere raggiunto prima che la “stagione di guida” statunitense finisca (dopo il weekend del Labor Day, tra meno di un mese), è dubbio.

Al contrario, se nessuno di questi due eventi dovesse realizzarsi e le economie in Asia, in particolare, dovessero restare preda di ripetuti focolai, allora la ripresa economica globale non resterà sulla strada giusta. Anziché aggiungere scorte sul mercato più velocemente, l’OPEC+ potrebbe ritrovarsi sotto pressione per rinviare alcuni degli aumenti delle scorte che ha promesso di implementare.

 

 

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