Di Alessandro Albano
Investing.com - Con un debito a a 10 anni verso l'1,81% (massimi da dicembre 2019), e un'inflazione proiettata verso il 7% annuale, i segnali per uno scenario anticipato di run-off e rialzo dei tassi sono sempre più evidenti, viste anche le recenti ricadute sui titoli ad alto P/E (il NASDAQ perde ora il 2,5%).
I dati di venerdì sulle non farm-payrolls, nonostante la delusione per i nuovi occupati, hanno confermato la rigidità del mercato del lavoro statunitense mostrando un aumento più netto dei costi salariali e un calo maggiore del tasso di disoccupazione (3,9%) verso l'obiettivo di massa occupazione della Federal Reserve.
Secondo gli analisti di NatWest Group (LON:NWG), "le Nfp hanno aumentato le aspettative per un aumento dei tassi Fed a marzo, e non più a giugno, come abbiamo stimato in precedenza". I numeri del mercato del lavoro hanno infatti alimentato le 'scommesse' per diversi aumenti dei tassi nel corso dell'anno. Oltre le nuove previsioni di Goldman Sachs (NYSE:GS), guardando i contratti futures si nota come il mercato stia prezzando già dalla scorsa settimana 4 aumenti del costo del dollaro entro fine dicembre.
Aumenti che farebbero schizzare l'intervallo dei tassi sui fondi federali tra i 100 e i 125 punti base, con un conseguente apprezzamento del dollaro che, secondo molto operatori, potrebbe fare risalire l'indice di riferimento oltre i 100.
Per Nicholas Farr, economista di Capital Economics, il rialzo delle scadenze a lungo termine ha spazio "per un'ulteriore corsa". Se a questo si unisce un aumento del rendimento del T-bond allo 0,87% (massimi in 2 anni), il mercato sta "sottostimando la portata dell'aumento dei tassi nei prossimi anni". Per questo, l'esperto prevede "un aumento del decennale di 50 punti base al 2,25% alla fine del 2023".
Con fine PEPP pressione anche in UE
L'aumento del rischio del debito non ha riguardato solo gli States, ma ha coinvolto anche i bond europei, con il Bund tedesco che si sta avvicinando verso lo 0% dopo diversi anni in territorio negativo.
Secondo gli analisti di Goldman Sachs (NYSE:GS), nonostante una riduzione dell'importo totale degli acquisti PEPP, "l'impatto sul mercato è stato finora relativamente limitato". L'aumento dei rendimenti, per gli esperti della banca, è invece dovuto "al miglioramento delle aspettative di crescita, grazie alla minore gravità della variante Omicron".
"Dopo il sell-off, il rapporto rischio-rendimento per la duration appare più equilibrato, ma con l'inflazione europea che ha raggiunto nuovi massimi a dicembre, le dinamiche inflazionistiche puntano ancora verso rendimenti nominali più elevati", avvertono da Goldman. "L'impatto della riduzione del QE e l'aumento dell'offerta nel primo trimestre peserà sulle obbligazioni europee e riteniamo con ulteriore spazio per un deprezzamento dei Bund".
Il Btp segue
E i venti contrari del primo trimestre potrebbero creare un ambiente ancora più difficile per gli spread sovrani, con lo spread Btp - Bund che potrebbe ampliarsi nelle prossime settimane, anche in vista dell'elezione del Presidente della Repubblica prevista per il prossimo 24 gennaio.
Dopo il report Should I Stay or Should I Go di qualche giorno fa, gli esperti di Goldman sono tornati sul contesto del Quirinale. Il problema, secondo la banca Usa, non è l'elezione in sé, ma dato che "un passaggio alla presidenza comporterebbe probabilmente una perdita di continuità politica e un potenziale ritardo nell'attuazione degli investimenti del Recovery Fund, è possibile che lo spread possa riflettere questi rischi".
Storicamente, aggiungono, "i periodi di stress politico possono vedere 15-20 pb di sottoperformance rispetto alle nostre stime del fair value spread dei mercati europei, il che implicherebbe uno spread Btp-bund più vicino ai 150 pb nel periodo delle elezioni".