I prezzi del carburante da record stanno mettendo alla prova il coraggio dei consumatori statunitensi. Quanto ancora possano salire, prima che la bolla scoppi, è quello che i tori del greggio stanno cercando di capire.
Mentre i mercati petroliferi si preparano a chiudere la nona settimana di fila in un range inferiore ai 115 dollari al barile, una cosa è chiara: Ci vorrà un divieto totale UE sul petrolio russo o altri tipi di interruzione delle forniture per riportare il mercato al livello del picco dell’invasione dell’Ucraina di quasi 140 dollari.
Altrimenti, perché il greggio segni nuovi massimi sull’anno, la domanda dovrà essere sfrenata quest’estate: tutti dovranno guidare, volare o andare in crociera come previsto, senza preoccuparsi per l’economia o per il COVID, soprattutto in Cina.
La realtà, però, è che l’embargo europeo sul petrolio russo è frenato dall’Ungheria, preoccupata per la sua sicurezza energetica.
Negli Stati Uniti, non è solo l’inflazione ai massimi di 40 anni che sta soffocando i consumatori. La Federal Reserve è determinata ad applicare gli aumenti dei tassi più alti di sempre per riportare i prezzi sotto controllo. E questo promette ulteriori dolori per i prossimi mesi. Wall Street, intanto, si trova sull’orlo del mercato ribassista e i tassi dei mutui stanno andando alle stelle.
Sul petrolio pesano il COVID in Cina e i prezzi da record del carburante USA
La Cina è ancora alle prese con il COVID 2.0. I dati sulla domanda petrolifera da parte del maggiore importatore mondiale della materia prima restano cupi: le importazioni nei primi quattro mesi del 2022 sono scese del 4,8% da un anno fa, anche se ad aprile sono salite di quasi il 7%.
Al momento della scrittura, il greggio Brent, il riferimento globale, sale di oltre l’1% sulla giornata, oscillando a poco meno di 110 dollari al barile. Il West Texas Intermediate (WTI), il riferimento del greggio USA, sale allo stesso modo, attestandosi sotto i 108 dollari. Per chiudere la settimana in positivo, però, dovrebbero entrambi rimbalzare di almeno il 3%.
“I prezzi del petrolio restano volatili, con le prospettive sulla domanda sempre più incerte”, spiega Ed Moya, analista della piattaforma di trading online OANDA.
“L’inflazione resta scomodamente alta ed aumentano i timori per la crescita globale. L’avversione al rischio a Wall Street sta comportando un dollaro sempre più forte, che pesa sui prezzi del petrolio”.
Ieri l’Agenzia Internazionale per l’Energia ha avvertito che l’impennata dei prezzi alla colonnina ed il rallentamento della crescita economica dovrebbero ridurre significativamente la ripresa della domanda nel resto dell’anno e nel 2023.
Finora, però, i tori del petrolio non sembrano preoccupati, con il WTI che resta in salita del 43% sull’anno ed il Brent di oltre il 40%.
I long sul greggio sembrano avere le spalle coperte dall’OPEC+. L’alleanza globale degli esportatori di petrolio è riuscita a spingere su i prezzi dai minimi in occasione di ogni riunione mensile, offrendo minimi aumenti della produzione al di sopra dei bisogni del mercato.
I “nemici-amici” e la Fed
L’Arabia Saudita, a capo dei 13 membri dell’originaria Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio che domina l’OPEC+, ha improvvisamente tagliato il prezzo di vendita ufficiale di questa settimana per i carichi di petrolio di giugno da spedire in Asia, Europa e nel Mediterraneo.
“I sauditi possono anche essere i migliori amici della Russia all’interno dell’OPEC+ per quanto riguarda le sanzioni dell’Occidente contro Mosca”, dice John Kilduff.
“Ma quando scontano fortemente il loro petrolio sul mercato nero, i russi si comportano da “nemici-amici” dell’Arabia Saudita, il cui principale obiettivo ora è tenere il barile sopra i 100 dollari”.
Trader come Kilduff sono inoltre preoccupati per quanto in là potrebbe spingersi la Fed con gli aumenti dei tassi.
Il Presidente Jerome Powell ha detto qualcosa di preoccupante: ottenere un atterraggio morbido per l’economia USA con gli aumenti dei tassi della Fed dipenderà da fattori che esulano dal controllo della banca centrale. Il rallentamento della crescita dei compensi, una componente chiave dell’inflazione ora, non sarà facile, ha detto.
E l’inflazione cresce tanto rapidamente quanto l’economia, se non più velocemente. L’indice PCE, l’indicatore sull’inflazione più seguito dalla Fed, è salito del 5,8% sull’anno a dicembre e del 6,6% sui 12 mesi a marzo. Entrambe le letture sono la crescita più rapida dagli anni Ottanta. L’indice sui prezzi al consumo e l’indice sui prezzi alla produzione, altri due indicatori chiave, sono saliti rispettivamente dell’8,3% e dell’11% sull’anno ad aprile.
La Fed tollera un’inflazione di appena il 2% all’anno.
Nota: Barani Krishnan utilizza una varietà di opinioni oltre alla sua per apportare diversità alla sua analisi di ogni mercato. Per neutralità, a volte presenta opinioni e variabili di mercato contrarie. Non ha una posizione su nessuna delle materie prime o asset di cui scrive.