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Cina e Clarida per un dollaro più debole?

Pubblicato 25.02.2019, 09:43
Aggiornato 09.07.2023, 12:32

Le notizie che arrivano dal tavolo negoziale tra Washington e Pechino confermano un clima costruttivoe in grado di portarea casa con una certa facilità il risultato minimo di una proroga della tregua senza incidenti di percorso. Ci soffermiamo anche sull’interessante intervento di Richard Claridadi venerdì scorso. Le sue paroleinsieme alla condivisa volontà cino-americana ad evitare volatilità indesiderata sul cambio dollaro-yuan mi rafforzano nell’idea che il dollaro ha più probabilità di indebolirsi che di rafforzarsi, pur dovendo ammettere che il differenziale di tasso a favore del biglietto verde rappresenta un avversario temibile per questo tipo di view specialmente nell’attuale regime a bassa volatilità.

Trump

Clarida. Venerdì c’è stato un diluvio di interventi da parte di membridel FOMC: ben 7 sono saliti su un qualche palco a parlare. In mezzo a diverse voci non particolarmente interessanti,che hanno in linea di massima ribadito posizioni già emerse nella recente ‘virata’ dovish della Federal Reserve, credo vada ricordato l’intervento di Richard Clarida (2019 US Monetary Policy Forum in New York). Clarida, pur essendo un’aggiunta relativamente recente del Comitato (nominato nel settembre 2018 come vice-governatore in sostituzione di Stanley Fischer), è ormai già considerato una delle voci più autorevoli della più importante banca centrale del pianeta.Il tema trattato è di lungo periodo ma non per questo meno interessante: la revisione di strategia, strumenti e metodologia di comunicazione della politica monetaria della Fed (link al discorso completo: https://www.federalreserve.gov/newsevents/speech/clarida20190222a.htm).Tra le headlines che hanno colpito gli schermiriportiamo: FED'S CLARIDA: AVERAGE INFLATION TARGETING ALSO TO BE REVIEWED/YIELD-CURVE CONTROL AMONG TOPICS FOR FRAMEWORK REVIEW. Il discorso confermache un processo di ripensamento e potenziale revision è effettivamente in corso e che molte soluzioni alternative rispetto a quanto visto finora sono sul tavolo: l’utilizzo del controllo della curva implementato dal Giappone (target esplicito per il rendimento a 10 anni)o di metodologia di ‘average inflation targeting’. Per quanto lontano,e ovviamente tutt’altro che certo,l’effettivo cambiamento delle regole attuali possa essere, l’esistenza stessa di un dibattito in questo senso(non una novità assoluta ma sicuramente un aspetto su cui il mercato non è o non è stato finora particolarmente concentrato) dovrebbe comportare l’inserimento di un qualche premio al rischio per il dollaroche si è spesso fatto preferire negli ultimi anni alle altre valute principali(EUR, JPY, CHF)proprio perché in una fase diversa e meno estrema del ciclo monetario.

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Cina. Delle molte headlinesche cistanno bombardando sul fronte delle negoziazioni US-Cina una delle meno ambigue con cui si è chiusa la settimana passata è quella riguardante un accordo che starebbe maturando sul fronte valutario: MNUCHIN SAYS FINAL AGREEMENT ON CURRENCY REACHED WITH CHINA. Gli aspetti tecnici di un simile accordo non sono stati resi pubblici, ammesso che la comunione d’intenti esista, appunto, nel dettaglio: Lighthizer, il principale ‘frenatore’ della negoziazione, ha ricordato che progressi sono stati fatti ma che gli ostacoli rimangono. Da un certo punto di vista, definire ‘per decreto’ una stabilità valutaria prospettica in presenza di un quadro ancora molto incerto sui futuri assetti commerciali è un po’ come mettere il proverbiale carro davanti ai buoi. La parte più difficile di una qualsiasi forma di controllo ‘imposto’ sui cambi è sempre la stessa: che il dirigismo valutario risulti coerente con i fondamentali economici, attuali e prospettici.

La Cina ha una bilancia delle partite correnti che dopo molti anni di sbilancio positivo è ora pareggiatae sembra volersi indirizzare verso un saldo negativo. Il surplus bilaterale con gli Stati Uniti è però molto elevato e ai massimi storici (vedi grafico), situazione che è in definitiva il principale irritante per l’amministrazione americana. L’unico modo con cui il cambio può aiutare a ridurre questo sbilancio è con uno yuan molto più forte nei confronti del dollaro. Ma questo (dato l’equilibrio complessivo delle partite correnti cinesi nei confronti del Resto del Mondo) dovrebbe venir accompagnato da un dollaro proporzionalmente ancora più debole nei confronti delle altre valute. Un evento non certo facile da far digerire ad economie (Europa e Giappone gli esempi più evidenti) che appaiono vulnerabili e la cui domanda esterna è particolarmente fragile in questa fase storica. In ogni caso questa dinamica ‘conciliatoria’ sembra in grado di togliere almeno per qualche tempo il rischio di una escalation valutaria (e la conseguente temuta instabilità finanziaria in stile ‘agosto 2015’) con Pechino attiva nello svalutare aggressivamente la sua moneta.

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Cina

Brexit. Come sempre indiscrezioni e notizie abbondanodurante ifine settimana: a) è praticamente certo che mercoledì non ci sarà un nuovo voto sull’accordo ma una mozione del governo che potrà essere emendata, presumibilmente (proposta Cooper) forzando il governo a mettere ai voti, in mancanza di una ratifica per il 12 marzo, la scelta tra un rinvio e un’uscita senza accordo (il che sembrerebbe portare con certezza a una richiesta di proroga dell’articolo 50 sotto il controllo del Parlamento); b) alcuni funzionari dell’Unione europea starebbero lavorando a un ipotesi di rinvio lungo, fino a fine 2020; c) secondo i piani del governo inglese il rinvio che verrà chiesto, dovesse rendersi necessario, sarà di 2 mesi; d) i sondaggi più recenti mostrano ora un vantaggio relativamente chiaro dei Conservatori, questo aumento le probabilità di elezioni anticipate. Lo scenario base resta quello che la temuta uscita senza accordo verrà evitata ma, dopo i guadagni degli ultimi 10 giorni, il risk-reward di detenere esposizioni lunghe GBP mi sembra notevolmente ridotto e conseguentemente consiglio rinnovata cautela aspettando momenti migliore per acquistare sterline.

Brexit

I tweet di Trump postatiieri serae il corredo mediatico che ne è derivato confermano che il clima dei negoziati restaindubbiamente costruttivo, in grado di portare a casa con relativa facilitàil risultato minimo di una proroga alla tregua: TRUMP SAYS U.S WILL DELAY CHINA TARIFF INCREASE SET FOR MARCH1/ TO PLAN SUMMIT WITH XI ASSUMING ADDITIONAL PROGRESS MADE..."achieved real development on topics like tech transfer, IP protection, non-tariff barriers, service industry, agricultural industry, currency... Both sides will proceed further based on instructions/orders from leaders from both sides". Poi un po’ di acqua sul fuoco è arrivata da fonti cinesi (CHINA-U.S. TRADE TALK MAY HAVE NEW UNCERTAINTY /CHINA-U.S. TRADE TALK TO BE HARDER AT FINAL STAGE: XINHUA) ma senza dettagliare da cosa queste ‘nuove incertezze’ siano rappresentate e comunque confermando che sianoin atto dei progressi:DISAGREEMENTS IN CHINA-U.S. TRADE TALK KEEP NARROWING: XINHUA. L’azionario cinese ha accolto con grande entusiasmo l’evoluzione dei negoziati con guadagni superiori al 5%. Più limitato il progresso degli altri indici (Nikkei +0.5%, Hang Seng +0.5%, future S&P 500 +0.3%). Segnalo poi un interessante intervento dell’autorevole (soprattutto su temi ‘asiatici’) Stephen Roachper Project Syndicate. L’economista sostiene che l’amministrazione USA stia sottostimando la resilienza dell’economia cinese e la determinazione strategica di Pechino: https://www.project-syndicate.org/commentary/china-has-upper-hand-against-trump-by-stephen-s--roach-2019-02

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Shanghai Composite

La settimana. Dati macro: le rilevazioni sulle dinamiche inflattive arriveranno da molte aree del pianeta (PCE in US, CPI inEuropa, Canada e Giappone); per quanto riguarda la crescita il piatto forte arriverà venerdì con i PMI manifatturieri del primo giorno di marzo ma sarà interessante anche seguire la prima lettura (arriva in ritardo di un meseper lo shutdown) del GDP US (Q4, giovedì) dove il consenso (+2.5%q/q ann.) contrasta non poco con la seguita rilevazionereal-time fornita dalla Fed di Atlanta (+1.4%). Jay Powell tornerà sotto i riflettori, chiamato all’audizione semestrale di fronte al Congresso (domani Senato, mercoledì Camera) e a parlare a una conferenza (giovedì, New York) sugli sviluppi economici. Dal canto suo l’arena geopolitica non dorme mai: Brexit (mozione mercoledì) e il summit Trump/Kim (mercoledì e giovedì) sono gli eventi con timing certo ma che presumibilmente non saranno esclusivi nel monopolizzare la nostra attenzione. Buona settimana.

Il desk rimane come sempre a disposizione per ulteriori approfondimenti.

JCI Capital

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