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OPEC punta a rally del greggio tra gli scontri negli USA; oro verso i 1780 dollari

Pubblicato 01.06.2020, 15:02
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Se l’OPEC dovesse spuntarla, il rally del greggio di maggio potrebbe trasformarsi in un rally di giugno.

Ma prima, potrebbero spuntarla i manifestanti USA.

Una settimana di proteste di massa in tutti gli Stati Uniti dopo l’omicidio di George Floyd, l’afroamericano in custodia della polizia a Minneapolis, ha scombussolato i piani di sindaci e governatori che stavano cercando di riaprire stati e città che erano stati chiusi negli ultimi tre mesi per la pandemia di coronavirus.

Rischi ribassisti per il greggio dovuti alle manifestazioni negli USA

“Lo scoppio delle violenze negli stati va ad aggiungere un altro livello di incertezza per gli investitori globali, già alle prese con il rischio di un peggioramento delle tensioni USA-Cina”, scrive Han Tan, analista di forextime.com.

“Questi rischi ribassisti stanno impedendo ad asset più rischiosi di intraprendere un rally, con gli investitori che riducono l’ottimismo circa il fatto che il peggio della pandemia globale sia ormai passato”.

Il greggio USA West Texas Intermediate è schizzato dell’81% a maggio superando i 35 dollari al barile, mentre il rivale britannico, il Brent, ha registrato un’impennata persino maggiore, pari al 96%, andando oltre i 37 dollari.

WTI Futures Daily Chart

Grafico giornaliero future WTI

L’Organizzazione dei Paesi Esportatori di petrolio, aiutata dalla Russia, punta a cavalcare l’onda del rally del mese scorso per portare entrambi i prezzi di riferimento sopra i 40 dollari. Il piano è quello di anticipare il vertice dell’OPEC+ (il gruppo che comprende anche la Russia come alleato) a questo venerdì, rispetto alla data originale del 10 giugno.

Nuove speranze nell’OPEC dopo l’ultimo disastro

L’ultima volta che l’OPEC+ si è incontrata, è stato un disastro. I sauditi, che controllano il cartello, volevano dei tagli della produzione maggiori. I russi no. La guerra dei prezzi che ne è risultata (con un fiotto di greggio da scisto USA che si è ritrovato nel mezzo) ha scatenato la tempesta perfetta insieme alla distruzione della domanda dovuta al COVID-19 che, alla fine, ha causato qualcosa che il mercato non aveva mai visto: prezzi sotto lo zero per il WTI. Ma con tutta questa situazione ormai dichiarata essere alle spalle, sauditi e russi (e, incredibilmente, anche americani) stanno lavorando insieme per cercare di far riprendere il greggio.

Un’indagine di Reuters di venerdì mostra che l’OPEC e i suoi alleati sono riusciti a tagliare quasi 6 milioni di barili al giorno a maggio, quasi tre quarti dei 9,7 milioni promessi entro fine anno.

Ma le cose continueranno ad andare come l’OPEC+ e gli americani (che comunque non fanno parte del cartello) pensano? Julian Lee, che si occupa del greggio per Bloomberg, teme di no.

“Per ora, i risultati della collaborazione sono quasi troppo belli per essere veri”, scrive Lee, riferendosi all’iniziativa sulla riduzione del greggio.

“Nel primo mese di esecuzione, il livello di rispetto del patto raggiunto dalla maggior parte dei 20 paesi firmatari è stato straordinariamente buono. Potrebbe essere un segnale della loro disperazione causata dal tonfo dei prezzi sotto lo zero, o un riflesso della difficoltà a vendere carichi in un mondo in cui la domanda è collassata”.

Ci sono dei campanelli d’allarme però

Guardando in avanti, Lee vede però dei campanelli d’allarme in quanto qualcuno all’interno dell’OPEC+, soprattutto la Russia, non vede l’ora di attenersi a quanto compreso nell’accordo di aprile, ossia la possibilità di riaprire i rubinetti del greggio a partire da luglio.

“Un problema per l’OPEC+ è che avrebbe tutto il diritto di farlo”, spiega Lee, riferendosi alla riapertura. “Il loro sudato accordo comprende delle clausole di caducità che consentono ai partecipanti di cominciare ad allentare le restrizioni a luglio”.

Ma, se dovesse succedere, ciò innescherebbe il rapido ritorno di circa 2-4 milioni di barili al giorno di scorte, avverte.

E aggiunge Lee:

“È ancora troppo presto perché i produttori possano rilassarsi. La ripresa della domanda non ha ancora preso piede negli USA, né in Europa, né in gran parte dell’Asia oltre alla Cina. I consumi di carburante in India al momento sono circa il 40% in meno dei livelli dello scorso anno, mentre negli USA un secondo calo a sorpresa della domanda nei dati della scorsa settimana implica che continua ad essere circa il 25% in meno rispetto ai livelli dell’anno scorso”.

Come ho spiegato nel mio articolo settimanale sul greggio ieri, la maggior parte del rally del greggio di maggio è stata causata dai tagli degli impianti di trivellazione e dalle chiusure dei pozzi da parte dei produttori USA in risposta al collasso della domanda di carburante per il COVID-19, che aveva spinto il WTI a -37 dollari al barile ad un certo punto.

Non è ancora il momento di aprire i rubinetti

Gli ultimi dati, tuttavia, mostrano che i produttori USA, attirati dai prezzi più alti, hanno cominciato a rallentare i tagli alla produzione che hanno innescato la ripresa del prezzo nell’ultimo mese. E questo potrebbe essere un problema per la nascente ripresa che il mercato ha visto finora, soprattutto se la domanda non dovesse tenere il passo rapidamente come previsto.

L’ultima indagine settimanale sui trivellatori condotta dal gruppo di settore Baker Hughes ha mostrato una riduzione di soli 15 impianti, contro cali di oltre 60 alla settimana registrati più volte negli ultimi 2 mesi e mezzo.

U.S. Baker Hughes Oil Rig Count 1 Year Chart

Grafico numero di impianti di trivellazione USA a 1 anno secondo Baker Hughes

Per essere chiari, il numero di impianti USA è sceso del 68% dalla settimana terminata il 13 marzo, portando giù la produzione di greggio a circa 11,4 milioni di barili al giorno dal massimo storico di 13,1 milioni di soli tre mesi fa. Ma il tasso della diminuzione è rallentato nelle ultime settimane, segnale che i trivellatori stanno smettendo di ridurre in quanto l’impennata del prezzo li spinge a produrre più barili per avere più soldi.

Bilancio del greggio USA ancora alto

Inoltre, i bilanci settimanali sul greggio USA in base ai dati della Energy Information Administration mostrano un aumento di quasi 8 milioni di barili per la settimana terminata il 22 maggio, l’incremento maggiore dalla fine di aprile.

Le scorte di benzina, intanto, sono scese relativamente di meno, di 724.000 barili, nella stessa settimana, contro le previsioni di un aumento di 100.000.

Le scorte di prodotti raffinati, invece, sono aumentate di 5,5 milioni di barili, con un aumento di quasi 42 milioni nelle ultime otto settimane.

I prodotti raffinati, che comprendono prodotti come gasolio e carburante per aerei, hanno rappresentato la componente più debole del complesso del greggio USA dallo scoppio dell’epidemia di COVID-19. Nonostante le riaperture dopo le serrate, la domanda di gasolio e carburante per aerei è stata anemica perché sono state poche le persone che hanno ripreso ad usare i mezzi pubblici o gli aerei a causa della paura del contagio.

Bancarotte nel settore del greggio USA; una falsa assicurazione di produzione persa

A controbilanciare il rallentamento dei tagli alla produzione contribuisce l’idea che molti trivellatori USA sono ancora in difficoltà. La distruzione della domanda causata dalla pandemia continua a pesare e, senza una maggiore domanda di greggio, molti trivellatori potrebbero andare in bancarotta.

Ma, anche se questi produttori dovessero finire a gambe all’aria, ciò non significa necessariamente che smetteranno di produrre. Questo per via della natura unica della legge fallimentare statunitense, che consente alle compagnie di avere una protezione dai debitori continuando a funzionare e a ristrutturare.

Ne è un esempio la Unit Corporation (NYSE:UNT), di Tulsa, Oklahoma, diventata la terza compagnia petrolifera USA a fare domanda di bancarotta dopo il COVID-19 la scorsa settimana, con un debito di oltre 650 milioni di dollari.

Unit Corporation ha reso noto che prevede di continuare ad operare regolarmente per tutto il processo di bancarotta secondo il Capitolo 11 senza alcuna interruzione materiale per i suoi fornitori, clienti o partner. Ha anche affermato che si aspetta di emergere dal processo “con uno strumento di finanziamento da 180 milioni di dollari”.

Ciò significa che potremmo assistere ad una stabilizzazione della produzione USA anche nel caso di altre bancarotte del settore. Davvero uno strano mondo.

L’oro punta a superare il massimo di aprile di 1.788 dollari

Nel caso dell’oro, i future del metallo giallo sembrano stare tentando un test oltre il massimo di quasi 8 anni di aprile di 1.788 dollari: una soglia tecnica da superare per arrivare al molto più prezioso livello di 1.800 dollari.

Gold Futures Weekly Chart

Grafico settimanale future dell’oro

I future dell’oro sul COMEX venerdì si sono attestati a poco meno di 1.737 dollari l’oncia per la prima volta dal novembre 2020, salendo per il terzo mese di fila, in quanto il riaccendersi delle tensioni tra USA e Cina ha spinto i compratori avversi al rischio a rifugiarsi nel metallo prezioso. Negli scambi asiatici di questo lunedì mattina l’oro ha raggiunto il massimo di 1.760,90 dollari.

A spingere l’oro da venerdì hanno contribuito i commenti del Presidente della Federal Reserve Jay Powell secondo cui una piena ripresa economica statunitense dal COVID-19 non si avrà fino a quando le persone non riacquisteranno la fiducia nel riprendere la vita che conducevano prima della pandemia.

“L’oro ha tutto a suo favore, tranne una forte domanda fisica”, spiega Ed Moya, analista della piattaforma di trading online OANDA.

“L’oro dovrebbe restare supportato sul breve termine tra gli acquisti delle banche centrali che sono forti, le prospettive di ulteriori stimoli globali che sembrano probabili e gli attriti tra le due principali economie globali che restano gravi”.

Nota: Barani Krishnan non possiede e non ha una posizione su nessuna delle materie prime o asset di cui scrive.

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