Buongiorno ai Lettori di Investing.com.
La chiusura di Wall Street ci consente di stilare un bilancio settimanale, bilancio che al momento recita semplicemente “Dollaro sotto pressione”.
Negli ultimi giorni gli investitori hanno letteralmente scaricato il biglietto verde, determinandone un deprezzamento talvolta consistente su tutti i fronti.
Le cause le conosciamo, sono note: dapprima la Presidente della Fed, Janet Yellen, aveva posto l’accento sull’annoso problema inflattivo, rimarcando come l’obbiettivo del 2% potrebbe diventare un serio problema anche nei prossimi anni.
Un rapido innalzamento dei tassi potrebbe addirittura determinarne un ulteriore calo, mentre rialzi troppo lenti potrebbero ripercuotersi sull’occupazione.
Dopodiché sono giunti i dati sui beni durevoli, -1,2% nel mese di ottobre.
Pur escludendo il trasporto, è stato registrato un misero rialzo dello 0.4%.
Il calo dei rendimenti obbligazionari, registrato soprattutto in concomitanza con la pubblicazione dei verbali del FOMC, ha ulteriormente indebolito il Dollaro.
Verbali, lo sappiamo, che hanno messo pesantemente in discussione la tabella di marcia sul rialzo dei tassi d’interesse del prossimo anno.
La sterlina è una delle valute che più ne ha tratto vantaggio, nonostante l'Office of Budget Responsibility abbia rivisto le previsioni del PIL del 2017 all'1,5% dal 2%, all'1,4% dall'1,6% per il 2018 e dall'1,7% all'1,3% per il 2019.
La Brexit, quindi, inizierà a far pagare pedaggio fin dai prossimi 24 mesi.
Ciò ha innescato, almeno inizialmente, un indebolimento del Pound ma poi abbiamo assistito a una ripresa evidentemente per il semplice motivo che tali proiezioni erano già state abbondantemente scontate.
Sebbene gli investitori siano stati delusi dalla mancanza di nuovi stimoli fiscali, non c’è stato nulla di sorprendente e ciò ha consentito alla coppia GBP/USD di portarsi oltre quota 1,33.
L'euro sta traendo vantaggio da dati macro economici decisamente importanti. I PMI del giovedì sono risultati i più alti mai registrati, mentre stamane l’indice IFO della Germania ha evidenziato un certo ottimismo del settore imprenditoriale.
Ecco quindi che sul cambio EUR/USD si guarda con ottimismo ai massimi recenti, ovvero a quota 1,20.
C’è da chiedersi come reagirà la BCE all’eventuale apprezzamento della nostra divisa, visto che non avrebbe intenzione di cambiare la propria politica monetaria fino al termine del 2018.
Il calo del dollaro USA ha esacerbato il deprezzamento del cambio USD/CAD, anche grazie ai prezzi del Future Petrolio Greggio WTI in forte rialzo.
Il rapporto sulle vendita al dettaglio del giovedì, decisamente negativo, è servito a interrompere lo scivolone del biglietto verde, ma visto che gli operatori statunitensi sono off non escludiamo che oggi si possa osservare un nuovo indebolimento.
Chiudiamo con le valute asiatiche, partendo dal dollaro neozelandese.
Anche qui, dopo la debolezza esasperata subentrata fin dai primi risultati elettorali, nell’ultima settimana stiamo assistendo a una ripresa delle quotazioni.
Tra i dati macroeconomici segnaliamo una spesa cresciuta dello 0,2% nel terzo trimestre, significativamente più debole rispetto ai precedenti 3 mesi, ma con una lieve revisione al rialzo dall'1,7% all'1,8% per il 2 ° trimestre.
Ciò ha incoraggiato gli investitori, che hanno acquistato il cambio NZD/USD.
Nel frattempo, sul fronte AUD/USD è stato raggiunto un minimo interessante: 0.7550.
Qui la discesa si è arrestata, guarda caso su un livello che i venditori di put hanno ritenuto inviolabile nella scadenza settimanale.
Il supporto è stato difeso con forza e la ripartenza al rialzo osservata ieri ha riportato la coppia in area 0.76.
E’ vero anche che abbiamo avuto dei commenti positivi da parte del Governatore RBA Lowe e ovviamente una ripresa dei prezzi dell'Oro, del Future Minerale di ferro fine 62% Fe CFR e del Future Rame, metalli che sappiamo essere correlati positivamente con la divisa australiana.