L’azionario USA ha archiviato un’altra seduta da record, spinto dalla notizia che il tasso di diffusione dell’infezione da coronavirus starebbe rallentando e che l’epidemia potrebbe non colpire le aziende USA così duramente come inizialmente stimato. Il presidente della Federal Reserve (Fed) Jay Powell ha però ribadito che stanno monitorando i rischi al ribasso sull’economia dovuti al coronavirus e sono pronti a introdurre ulteriori misure di supporto in caso di necessità.
I mercati azionari asiatici non hanno invece partecipato a questa corsa al rialzo, perché in Asia le notizie non sono state di questo tenore. Il numero di infezioni da coronavirus non sembra infatti aver subito un rallentamento, e pare sia invece balzato dopo la revisione nel metodo di diagnosi. Gli alti funzionari alla guida delle province di Hubei e Wuhan sono stati rimossi dall’incarico.
I future sull’azionario USA hanno subito delle perdite durante la seduta di contrattazioni overnight.
L’attività dei future su FTSE (-0,19%) e DAX (-0,32%) punta a un avvio negativo anche in Europa.
Il rendimento dei decennali USA è scivolato sotto la soglia dell’1,60% e l’indice del dollaro USA ha superato la soglia dei 99 punti, sostenuto dalla corsa verso gli asset sicuri.
L’oro è avanzato a $1575 all’oncia e lo yen ha guadagnato grazie all’aumento delle operazioni verso I beni rifugio. L’USD/JPY è sceso dopo aver scambiato sopra il livello a 110.
Il greggio WTI ha tenuto sopra i $51 al barile, anche se la scorsa settimana le scorte USA sono aumentate di 7,5 milioni di barili a fronte dei 3,1 milioni previsti dagli analisti e dell’incremento pari quasi a 3,5 milioni registrato nelle ultime due settimane. L’aumento delle scorte di petrolio, la flessione significativa della domanda di petrolio dovuta soprattutto all’impatto del coronavirus e alla resistenza dell’OPEC a tagliare la produzione prima di marzo dovrebbero avere un impatto quanto prima. Continuiamo a vendere sui progressi, mirando a una stabilizzazione in area $48/50.
Sul forex, l’euro si è arreso a un dollaro USA forte e alla pressione esercitata dai dati deboli, scivolando sotto il manico a 1,0880 in Asia, a livelli visti l’ultima volta nel 2007. Dai dati di ieri è emerso che, a dicembre, la produzione industriale nell’Eurozona si è contratta del 2,1% m/m, mai così tanto da quattro anni, rispetto al -1,8% previsto dagli analisti. I dati si riferiscono al periodo precedente all’epidemia da coronavirus, per cui il peggio per l’industria europea potrebbe ancora venire. Oggi il dato sull’inflazione tedesca confermerà probabilmente un calo dello 0,6% a gennaio. Una cifra debole riferita all’inflazione dal motore della crescita dell’Eurozona potrebbe animare ancora di più le colombe della Banca Centrale Europea (BCE), pesando ulteriormente sulla moneta unica. Il movimento dell’euro sotto il livello critico a 1,0880 dovrebbe incoraggiare gli investitori a rafforzare le posizioni corte di base in vista di una flessione marcata a 1,0800/1,0750.
Il cable ha trovato richieste migliori nonostante i solidi rialzi del dollaro USA altrove, ma il rialzo è stato arginato dalla media mobile a 200 ore, che al momento si attesta vicino a 1,2975.
Oggi il calendario economico USA prevede la pubblicazione dell’inflazione primaria di gennaio, che dovrebbe confermare un progresso al 2,4% dal 2,3% registrato il mese precedente. Probabilmente la Federal Reserve accoglierà con favore un’inflazione superiore all’obiettivo per un breve periodo, a condizione che il calo dei prezzi dell’energia faccia scendere quanto prima l’indice dei prezzi al consumo USA sotto l’obiettivo del 2%. Pertanto anche un rapporto solido sull’inflazione non fornirà motivazioni sufficienti per un rialzo del tasso negli USA. Probabilmente la Fed quest’anno resterà a guardare. Semmai più probabile assistere a un taglio del tasso, probabilmente non prima della seconda metà dell’anno.