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Eurobond in arrivo? Benefici per tutti. Ecco i settori sui quali investire

Pubblicato 01.06.2022, 06:49
Aggiornato 12.01.2022, 13:50
Eurobond: se non ora quando?

Discorso corretto quello del governatore della Banca d’Italia nelle sue considerazioni finali. Occorre un recovery plan permanente, o comunque uno strumento pronto per essere utilizzato in caso di necessità evitando di dover creare di volta in volta un programma ad hoc, così come avvenuto a seguito della crisi dei debiti sovrani e durante la pandemia. Inutile girare tanto intorno al problema. Ovviamente questo veicolo dovrebbe accompagnare le discussioni in atto sulla riforma del patto di stabilità e crescita, che come abbiamo avuto modo di dire diverse volte, come è strutturato attualmente non è compatibile con le finalità per le quali è stato creato. In linea con quanto già sperimentato con il programma NGeu, le risorse verrebbero reperite attraverso l’emissione di debito dell’Unione per trasferirle ai paesi membri al fine di impiegarle con criteri e per scopi concordati a livello europeo. Stiamo parlando dei primi passi dell’emissione di debito comune Europeo.
 
I benefici sarebbero per tutta l’Europa
Diverse sono infatti le ragioni per arrivare a forme di gestione comune di una parte dei debiti nazionali emessi in passato ed è innegabile il contributo che questo fornirebbe al rafforzamento della stabilità dell’area euro e alla creazione di un mercato delle obbligazioni pubbliche sovranazionali di spessore e liquidità adeguati. Contributo che non mancherebbe di avere benefici anche nella prospettiva del completamento dell’unione bancaria (come noto il terzo pilastro manca ancora all’appello) e di quella del mercato dei capitali.
 
Diverse sono state le proposte, ma il problema è politico
Il problema, come è facile comprendere, è politico. In altre parole occorre la volontà di volerlo fare. Negli ultimi anni sono state avanzate varie proposte di mutualizzazione dei debiti pubblici dell’Eurozona, alcune peraltro molto fantasiose e poco realizzabili. La proposta più influente è stata quella avanzata nel 2011 dal Consiglio degli esperti economici tedeschi che, dieci anni dopo e opportunamente aggiornata, da un punto di vista strettamente economico potrebbe anche funzionare. L’idea è quella di mettere i debiti in eccesso la soglia del 60% in un Fondo comune (detto ERF, European Redemption Fund) che si finanzia sul mercato per acquisire i debiti degli stati membri. In cambio, gli stati più fragili si sottoporrebbero a condizioni severe, volte a eliminare i debiti al di sopra della soglia e a far sì che il Fondo possa cessare l’attività nell’arco di 20–25 anni. Sono previste sanzioni, quali la cessazione dei riacquisti dei titoli in scadenza, per evitare che i paesi membri vengano meno agli impegni assunti in materia di politiche di bilancio. Un’altra via sicuramente meno drastica, è quella di aumentare il denominatore (il PIL) mantenendo stabile il debito, fattibile però solo aumentando la produttività dei fattori di produzione (capitale e lavoro), la qualità dei prodotti e l’export. E’ la via del NGeu e del PNRR.
 
Presto al via anche lo scudo antispread
Allo studio della BCE c’è anche uno scudo antispread. Il nuovo meccanismo potrebbe essere un ibrido tra il PEPP, che non prevedeva condizioni e l’OMT di Draghi che al contrario poneva alcune condizioni anche attraverso l’ESM. In altre parole, un piano non troppo stringente ma vincolato per esempio alle condizioni già in essere per il NGeu o che rispettino le condizioni della Commissione Europea. Sicuramente con un piano così congeniato sarebbe più agevole per la BCE proseguire lungo la normalizzazione monetaria. Certo occorre fare i conti con i falchi che spingeranno per condizionare l’intervento dello scudo solo a “reali” situazioni che mettano in pericolo il cammino dell’UE verso la stabilità finanziaria, escludendo interventi mirati a favore dei singoli Stati.
 
Occorre prima convincere i mercati…
Ben sapendo che l’efficacia degli interventi di politica monetaria è sempre legata a doppio filo alla capacità di convincere i mercati che non conviene sfidare la Banca Centrale, il piano sembra configurarsi come una sorta di riedizione del “whatever it takes”, in cui la BCE rimarca con forza il proprio impegno nei confronti di tutti i paesi dell’Euro. Vedremo se anche questa volta funzionerà.
 
La creazione di uno scudo che possa agire velocemente nelle situazioni di emergenza è una buona notizia per i mercati. E’ chiaro tuttavia che a breve dovranno essere definiti gli ambiti di intervento in modo che il messaggio di politica monetaria sia il più chiaro possibile e induca gli speculatori a desistere dal loro intento o quanto meno a limitarlo.
 
…e le munizioni della BCE sono diverse
Altri e diversi sono comunque gli ambiti di intervento della BCE per dare stabilità al sistema, come per esempio il rifinanziamento a più lungo termine della terza serie OMRLT-III, in modo da non ostacolare la normale trasmissione della politica monetaria. Come già annunciato, il Consiglio si attende che le condizioni specifiche delle OMRLT-III cesseranno di essere applicate a giugno di quest’anno. Lo stesso valuterà inoltre l’adeguata calibrazione del sistema a due livelli per la remunerazione delle riserve, affinché la politica dei tassi di interesse reali negativi non limiti la capacità di intermediazione delle banche in un contesto di liquidità eccessiva. Tutte le manovre allo studio occorre che siano però inquadrate in più ampio piano di revisione degli obiettivi economici e politici dell’Europa (prima devi avere chiara la strategia e poi la implementi).
 
Nell’attesa, meglio investire in…
Per il momento, con tutta la potenza di fuoco a disposizione della banca centrale e dei governi, dove sarebbe meglio investire? La risposta è nelle imprese maggiormente coinvolte dagli investimenti del NextGenerationEU e del PNRR che hanno difronte un’opportunità unica di sviluppo. Sono tutte quelle imprese che operano nel settore della digitalizzazione di prodotto ma anche di processo, della cyber security, della trasmissione di dati su rete fissa o mobile. Ma anche tutte le imprese che operano nella rivoluzione verde, da quelle locali a quelli nazionali, senza dimenticare tutte quelle che operano nel settore delle infrastrutture e della salute.
 
 

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