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I prezzi del greggio potrebbero correggersi nonostante l’OPEC non parli di tagli

Da Investing.com (Barani Krishnan/Investing.com)Materie prime06.07.2021 12:43
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I prezzi del greggio potrebbero correggersi nonostante l’OPEC non parli di tagli
Da Investing.com (Barani Krishnan/Investing.com)   |  06.07.2021 12:43
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I tori del greggio sono tutti sorridenti, hanno ottenuto qualcosa che sembrava impossibile: non un singolo ulteriore barile di produzione è stato concordato dall’OPEC+ da agosto in poi.

Oil Daily
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Grafico giornaliero del greggio

 

La verità è che i problemi potrebbero essere solo all’inizio per i long sul mercato.

Dopo due giorni di infruttuose trattative tra Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, l’OPEC+ ha deciso che era meglio per i due ex-alleati (ora in un certo senso rivali) interrompere i negoziati sulle quote di esportazione del mese prossimo.

Non c’è stato alcun comunicato ufficiale dal gruppo di 23 nazioni dell’OPEC+, che comprende i 13 membri originali dell’Organizzazione dei Paesi Esportatori di petrolio, guidata dai sauditi, ed i loro 10 alleati con in testa la Russia.

Fonti informate dei fatti, tuttavia, hanno riferito ai media che, in assenza di un accordo sulle quote di agosto, resteranno in vigore gli attuali limiti alla produzione del cartello.

L’OPEC+ avrebbe dovuto trovare un accordo su un aumento della produzione di almeno 400.000 barili al giorno a partire dal mese prossimo. I mercati del greggio sono schizzati sulla notizia, in quanto privare l’economia globale di vitali scorte extra e la ripresa dalla pandemia di coronavirus sono stati interpretati come fattori super-rialzisti per i prezzi del greggio.

Il Brent, il greggio di riferimento globale, è schizzato negli scambi londinesi di ieri superando i 77 dollari al barile, un livello che non si registrava dall’ottobre 2018.

Il newyorkese West Texas Intermediate crude, dati gli scambi limitati di ieri per la festa dell’Indipendenza negli USA, si è rimesso in pari con il Brent negli scambi asiatici di questo martedì, toccando un picco intraday poco lontano da quello dell’ottobre 2018 di 76,90 dollari.

Sull’anno in corso, il Brent è schizzato di quasi il 50% ed il WTI del 58% a causa del soffocamento giornaliero delle scorte di greggio operato dall’OPEC+. L’alleanza sta ancora trattenendo dal mercato circa 5,8 milioni di barili al giorno della sua capacità di produzione dimostrata, rispetto ai tagli originariamente iniziati a 10 milioni nell’aprile 2020.

I tori del greggio sono entusiasti per la prospettiva che il Brent raggiunga gli 80 dollari nel giro di qualche giorno, come aveva profetizzato Goldman Sachs mesi fa, o persino i 100 dollari stimati di recente da Bank of America.

L’idea si basa sull’ipotesi che resti intatta l’unità dell’OPEC+ nel rispettare i tagli organizzati dall’egemonia russo-saudita che controlla l’alleanza.

Con lo scontro tra Arabia Saudita ed EAU, il resto dell’OPEC+ rispetterà i tagli come prima?

Come è emerso nel fine settimana, l’unità all’interno dell’alleanza comincia a vacillare e potrebbe solo peggiorare da qui.

Bloomberg ha sottolineato in un articolo di ieri che il mancato accordo sulle nuove quote di agosto è stato “un grosso fallimento per il cartello”, aggiungendo:

“I rapporti sono peggiorati tra due membri chiave dell’Organizzazione dei Paesi Esportatori di petrolio, al punto che non è stato possibile alcun compromesso. Questo danneggia l’immagine che il gruppo ha di sé come amministratore responsabile del mercato del greggio, aumentando la probabilità di un’ulteriore impennata inflazionaria del prezzo”.

Il mercato del greggio dovrebbe stare inoltre attento a qualcos’altro: il peggioramento del rispetto dei tagli da parte dell’OPEC+ d’ora in poi, con i “soliti imbroglioni” all’interno dell’alleanza che ci daranno dentro.

Ad esempio, i russi, che condividono l’amministrazione del gruppo con i sauditi, sono noti per non rispettare le loro stesse quote di produzione, figuriamoci dover garantire i tagli degli altri.

Sebbene altri storici imbroglioni, come Nigeria ed Iraq stiano più o meno rispettando i loro limiti di produzione ultimamente, l’evidente rancore degli EAU nei confronti di Riad potrebbe incoraggiarli ad oltrepassare il confine.

A fine maggio, il rispetto dell’OPEC+ aveva raggiunto uno storico 122%. Bisogna notare che l’eccesso di rispetto è stato dovuto soprattutto ad una fonte: l’Arabia Saudita stessa.

Ed è qui il problema tra i sauditi e gli Emirati. In quanto quelli che solitamente fanno la parte del leone nei tagli, anche nel 2016 quando era stato creato il primo accordo OPEC+, i sauditi si sentono autorizzati a guadagnare delle entrate in più a questi prezzi allentando di più i loro tagli e meno quelli degli altri.

In base al piano di Riad, l’OPEC+ alzerà la produzione per fasi di circa 2 milioni di barili al giorno da agosto a dicembre e prorogherà i tagli fino alla fine del prossimo anno, anziché fino all’aprile 2022, senza un aggiustamento dei livelli di produzione base.

Gli Emirati, tuttavia, sono contrariati riguardo al volume di riferimento su cui sono calcolati i loro tagli alla produzione e affermano che è stato concordato un livello troppo basso all’apice della pandemia. Abu Dhabi ha investito miliardi di dollari da allora per aumentare la capacità di produzione e vuole produrre di più per far fruttare l’investimento.

La produzione petrolifera degli EAU ha segnato il record di oltre 4 milioni di barili al giorno ad aprile dello scorso anno, durante una breve guerra delle forniture tra sauditi e russi. Prima di questo, il paese aveva prodotto più di 3,2 milioni di barili al giorno per un intero mese solo due volte: nel novembre e nel dicembre 2018.

Di certo, da soli, gli Emirati non saranno mai in grado di produrre abbastanza da inondare il mercato e affondare i prezzi. Ma lo scontro con i sauditi potrebbe convincere altri nell’alleanza a produrre di più.

Ci sono anche altri sviluppi da seguire.

L’accordo iraniano, la produzione statunitense

Oltre alla questione dell’OPEC, c’è un potenziale accordo nucleare per l’Iran con le potenze mondiali. Sebbene non appaia imminente, la sua tempistica potrebbe sorprendere. Se si realizzasse un simile accordo, le sanzioni USA sulle esportazioni di greggio iraniano termineranno, facendo tornare potenzialmente 500.000 barili al giorno sul mercato immediatamente, o fino a 2 milioni al giorno sul lungo termine.

L’Iran è un membro fondatore dell’OPEC ma, per via delle sanzioni, viene trattato come un reietto nel cartello, soprattutto dal suo storico nemico, l’Arabia Saudita. Sebbene Teheran non abbia contribuito con un solo barile ai tagli ordinati dai sauditi, il suo legittimo ritorno sul mercato comporterà delle pressioni, almeno sui prezzi del greggio.

C’è anche la questione della produzione statunitense, rimasta piuttosto controllata a 11 milioni di barili al giorno per mesi e mesi, dopo essere crollata dal massimo mondiale di 13,1 milioni poco prima dello scoppio della pandemia nel marzo 2020.

Il numero di impianti di trivellazione USA, un indicatore della produzione futura, sta crescendo molto lentamente nonostante i prezzi esplosivi del greggio, con la politica pro-energia rinnovabile del governo Biden che scoraggia i combustibili fossili, dannosi per l’ambiente. Le aziende energetiche statunitensi, inoltre, di solito vengono punite con prezzi dei titoli più bassi dagli investitori ogni volta che annunciano un piano di trivellazione aggressiva.

Tuttavia, con un leggero cambiamento di tono, il governo Biden ha espresso il desiderio ieri di vedere più greggio sul mercato tramite un accordo OPEC+. In una dichiarazione indirizzata all’alleanza, la Casa Bianca ha detto:

“Non facciamo parte di queste trattative, ma i funzionari governativi si sono impegnati con capitali importanti per spingere ad una soluzione di compromesso che consenta ai proposti aumenti della produzione di procedere”.

La dichiarazione arriva in scia al periodico comunicato del venerdì della Casa Bianca, durante il quale l’addetto stampa Jen Psaki ha espresso timori per l’impatto dell’aumento dei prezzi del greggio per i consumatori americani. 

I commenti sono stati i primi del genere da parte del governo da quando è salito al potere a gennaio, segnale che sta finalmente cedendo ai timori per l’inflazione e all’impatto dell’aumento del prezzo del greggio, con i prezzi della benzina alla colonnina che hanno segnato nuovi massimi di 7 anni sopra i 3 dollari al gallone.

Per concludere, il rischio rialzista per i prezzi del greggio è ancora maggiore di quello ribassista. Tuttavia, non siate sorpresi se il consolidamento/correzione del mercato dovesse avvenire più rapidamente del previsto, nonostante l’OPEC non parli di tagli.

 

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