L’OPEC ha promesso dei tagli alla produzione petrolifera e i sauditi stanno pianificando il primo sciopero delle esportazioni verso gli Stati Uniti. Tuttavia, questi fattori di per sé non dovrebbero spingere i prezzi del greggio ad un’impennata sostenuta prima della fine dell’anno, con i trader che probabilmente aspetteranno i dati sulla domanda del 2019 prima di agire. I timori per il rallentamento globale e lo scetticismo sui rapporti USA-Cina potrebbero contribuire a limitare l’attività del greggio.
La storia potrebbe essere diversa per l’oro, che si prepara ad affrontare una settimana cruciale con la Federal Reserve che deciderà se alzare i tassi per la quarta volta quest’anno. I mercati si aspettano con una probabilità del 75,8% un aumento dei tassi al 2,00-2,25% a conclusione del vertice di politica monetaria della banca del 18-19 dicembre.
Con molti che si aspettano che la Fed metterà in pausa il ciclo di inasprimento dopo dicembre, il dollaro dovrebbe segnare un modesto rialzo se dovesse essere annunciato effettivamente un aumento dei tassi mercoledì. Ma se la banca centrale dovesse mantenere la rotta, ciò potrebbe indicare una forte debolezza del biglietto verde a inizio 2019, un fattore che potrebbe spingere l’oro verso il massimo di aprile di 1.300 dollari nelle prossime due settimane.
L’oro potrebbe essere considerato il “salvatore” se la Fed dovesse mettere in pausa gli aumenti dei tassi
Chuck Butler, direttore di gestione di EverBank Global Markets ed osservatore della Fed da oltre 35 anni, indica che uno stallo negli aumenti dei tassi a questo punto potrebbe alimentare i timori di una potenziale recessione. In un’intervista pubblicata sul sito del NASDAQ venerdì, Butler ha affermato: “Le cose finiranno (per sembrare) talmente brutte che l’oro sarà il salvatore”.
Oltre alla decisione della Fed, gli investitori dell’oro presteranno particolare attenzione ai dati sul settore immobiliare USA di novembre previsti per domani ed a quelli finali sulla crescita economica del terzo trimestre di venerdì, nonché alle trattative sulla Brexit, con il Primo Ministro britannico Theresa May che ha meno di quattro mesi per attuare il suo piano di divorzio del Regno Unito dall’UE.
Previste altre pressioni a breve termine sul gas naturale
Tra le altre materie al centro della scena, il gas naturale sarà seguito da vicino per capire quanto ancora potrà perdere prima della fine dell’anno, dopo lo sconvolgente crollo del 21% segnato finora questo mese, in seguito all’altrettanto sconvolgente impennata del 41% di novembre. Solo un mese fa, il gas naturale segnava un rimbalzo del 60% sull’anno. La forte volatilità ha spinto il combustibile a cedere la posizione numero uno nella performance delle materie prime al frumento, schizzato del 24% sull’anno in corso. (Per gli utenti desktop, cliccare qui e andare su “performance” per vedere i ritorni delle materie prime sul 2018).
Dan Myers di Gelber & Associates, consulente dei mercati energetici di Houston, in Texas, afferma che sui prezzi del gas ha pesato fortemente l’indebolimento della domanda per il riscaldamento pre-invernale ultimamente. In una nota di venerdì aggiunge:
“Un clima più mite peserà sulla domanda la prossima settimana, mettendo in dubbio la forza delle riduzioni a fine dicembre”.
I prezzi del greggio, intanto, hanno brevemente interrotto l’andamento ribassista la scorsa settimana, con un rimbalzo del 3% nella seduta di giovedì sulla scia della notizia di Bloomberg secondo cui l’Arabia Saudita intende ridurre le esportazioni negli Stati Uniti nelle prossime settimane, nel tentativo di ridimensionare gli evidenti aumenti delle scorte di greggio. Le spedizioni di greggio negli Stati Uniti il mese prossimo potrebbero persino toccare il minimo trentennale di 582.000 barili al giorno segnato alla fine del 2017, con un crollo di circa il 40% rispetto alla media trimestrale più recente, si legge.
In 24 ore, i prezzi del greggio hanno cancellato tutta l’impennata. A sole due settimane per la fine del 2018, il greggio USA West Texas Intermediate segna un crollo di circa il 15% sull’anno in corso e del 32% rispetto al massimo di quattro anni di quasi 77 dollari al barile di inizio ottobre. Il britannico Brent, riferimento globale per il greggio, segna un tonfo del 10% sull’anno e del 32% dal massimo di quattro anni di quasi 87 dollari al barile toccato due mesi fa.
I tagli sauditi contro gli USA non rappresentano una svolta immediata
Dominick Chirichella dell’Energy Management Institute di New York ha affermato che, sebbene i tagli sauditi nei confronti degli Stati Uniti siano un fattore rialzista per il greggio come tanti altri, non rappresentano una svolta immediata per via dei timori per un rallentamento economico globale nel 2019, insieme all’apprensione per il fatto che la tregua nello scontro USA-Cina possa consistere solo in vittorie simboliche anziché in veri e propri progressi.
In una nota pubblicata nel weekend, Chirichella riconosce che i tagli alla produzione saudita riportati da Bloomberg “potrebbero essere l’inizio di un nuovo trend in salita”. Tuttavia ha aggiunto:
“Non sono pronto a tuffarmi nel rialzismo al momento. Confermo la mia opinione generale sul greggio e le previsioni a breve termine ad un livello neutrale, mentre vediamo come andrà il nuovo accordo OPEC nelle prime fasi”.