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Il problema cinese

Pubblicato 20.08.2022, 17:19
Aggiornato 29.03.2024, 17:46


Analizziamo le caratteristiche della struttura socio-politico-economica cinese e le possibili evoluzioni che ne derivano.
Gli elementi che hanno creato il miracolo cinese sono rappresentati da una combinazione precisa di
1- disponibilità politica ed economica all’apertura da parte dei partner del cosiddetto mondo avanzato con l’instaurazione di un circuito di scambio con quest’ultimi, cosa che ha permesso di drenare risorse finanziarie, tramite i surplus commerciali, e acquisire competenze, per lo meno nella replicazione delle tecnologie occidentali; il tutto innescato sul piano finanziario dal cosiddetto “Nixon shock” all’inizio degli anni 70 che pose fine agli accordi di Bretton Woods (minati già a partire dagli anni 60 nel periodo Kennedy/Johnson) e che sancì il passaggio da un sistema monetario seppur non formalmente ancorato all’oro (in quanto gli USA detenevano la maggior parte delle riserve mondiali) ma basato comunque su cambi fissi in cui i flussi commerciali si “autoregolamentavano”, ad uno imperniato sulla moneta FIAT il cui costo era la sola carta di stampa che ha finanziato da quel momento i deficit americani a favore del surplus di Giappone prima e Cina poi, quale input sostanziale alla globalizzazione delle catene produttive che ha supportato l’innegabile crescita senza precedenti degli ultimi 50 anni.
2- struttura demografica ideale per mettere nero su bianco le intenzioni di rivalsa cinese, con una enorme massa di forza lavoro tra i 20 e i 25 anni che fece il suo ingresso nel mercato proprio a cavallo dell’apertura politica, coincisa storicamente con la caduta del Muro.

Aspetti che da un certo punto di vista possono essere schematizzati dal modello di Alexander Gerschenkron, economista ucraino/americano le cui teorie sono state concepite a metà del novecento e che si applicano ancor meglio alle moderne economie emergenti piuttosto che agli stati del 19esimo e 20esimo secolo su cui furono plasmate. I meccanismi indagati si sintetizzano nella relazione inversamente proporzionale tra velocità del processo di industrializzazione di un paese ed il suo sviluppo relativo rispetto alle economie più avanzate nel momento in cui tale processo si compie; nesso che si spiega con la possibilità di attingere sia alla tecnologia evoluta e collaudata già disponibile senza dover attraversare tutti gli stadi di implementazione della stessa, sia alla possibilità di utilizzo di sostituti delle risorse non reperibili internamente.
Peculiarità delle economie emergenti è di solito appunto la demografia. Nel caso cinese una crescita negli ultimi decenni della forza lavoro del 2% circa annuo (fino ad una percentuale di quest’ultima sulla popolazione totale di un valore superiore al 70% paragonato al 60% ad esempio degli Usa) ha portato come naturale conseguenza l’opportunità di contare su dinamiche di offerta e domanda in grado di mantenere depressi i costi della manodopera.
Oltre ai fattori citati il processo necessita di investimenti produttivi che a loro volta hanno bisogno di benzina rappresentata dai liquidi sottoforma dei risparmi complessivi generati sul territorio.
In un paese in via di sviluppo quest’ultimi sono necessariamente non sufficienti a garantire un adeguato livello di finanziamento per la semplice ragione che la società è composta da una base preponderante di popolazione a basso reddito che per tale ragione consuma gran parte delle proprie risorse.
Il modello di sviluppo prevede di ridurre la quota di ricchezza destinata agli strati più poveri, concentrandola nelle fasce più ricche e nelle amministrazioni centrali e locali in modo da determinare un tasso di risparmio più elevato ed una conseguente disponibilità finanziaria alimentata a sua volta dalla bilancia commerciale positiva. Meno consumi e più investimenti.
Parallelo al risvolto economico è quello politico, funzionale al primo nella forma di un autoritarismo di stato in salsa socialista e determinato dalla relazione questa volta diretta tra sviluppo economico istituzionale di un paese, nel caso cinese di certo deficitario al momento della sua instaurazione, e la sua cultura democratica.
Questo schema funziona fino a quando gli investimenti sono produttivi ed i costi contenuti dai vantaggi competitivi, uno su tutti quello demografico.
Entrambe queste caratteristiche vincenti del sistema cinese stanno venendo meno:
la politica del figlio unico, resa necessaria negli anni settanta quando la quota di partecipazione al lavoro era troppo bassa e poco qualificata per poter garantire anche il solo sostentamento della popolazione (in sintesi troppi bambini per pochi adulti) sta mostrando il rovescio della medaglia proiettando nel futuro non troppo lontano una carenza contraria con una quota di anziani non sostenibile rispetto al totale (sotto i grafici esplicativi).Percentuale popolazione in età da lavoro sul totale

Popolazione adulta per gruppi di età in proiezione


La quota di investimenti produttivi decresce progressivamente. Nell’accezione cinese l’investimento produttivo è fondamentalmente il mattone:
Come ben esemplificato dal seguente articolo i mutui in Cina vengono estesi dalle banche agli acquirenti prima che gli appartamenti siano costruiti e sono supportati non solo dall’ipoteca, ma anche dal credito personale degli acquirenti stessi. Il che incentiva le banche a sottovalutare i rischi potendosi rivalere sugli altri beni dei mutuatari.
In base a questo accordo, gli acquirenti forniscono effettivamente una grande quantità di liquidi senza interessi per le imprese costruttrici, riducendo il costo del capitale e il rischio finanziario che viene sopportato unicamente da loro, fornendo contemporaneamente una fonte di reddito per le banche (gli interessi dei mutui) ed il governo (entrate fiscali relative agli immobili).

Di conseguenza, si crea un circolo virtuoso (?) fondato sulla liquidità e sull'inesorabile aumento dei prezzi degli immobili che gonfiano la bolla.
Un sistema chiaramente inefficiente che ha visto come conseguenza tra le altre l’aumento del debito cinese a livelli record a partire dagli anni dieci di questo secolo, in particolare parliamo della capacità di far fronte ai debiti da parte del settore privato rispetto al reddito generato.

Debito globale


Interessante a tal proposito è il punto di vista del think tank MarcoPolo:
“La crisi dei mutui immobiliari in corso in Cina finirà per essere molto più significativa del semplice default di Evergrande (HK:3333). Ciò è in gran parte dovuto alla portata del problema e al fatto che la soluzione richiede di spendere ingenti capitali politici piuttosto che i soli capitali finanziari. Il bailout previsto consentirà di evitare il contagio al sistema bancario, ma va a scapito della credibilità del governo e mina la fiducia nel modello di business "pre-vendita" che costituisce oltre l'80% di tutte le entrate delle imprese immobiliari.
A prima vista, la soluzione è ovvia: salvare le agenzie finanziarie in difficoltà perché questo è principalmente un problema di flusso di cassa dovuto all'impossibilità di pagare le imprese di costruzione per completare i progetti. Una volta che la costruzione riprende, le unità vengono completate, gli acquirenti ottengono le loro case e le rate del mutuo riprenderanno ad essere saldate.
Ma ciò che è ovvio non è semplice politicamente.
Finora, il contenimento del problema è stato lasciato ai governi locali di città con mercati immobiliari deboli e crescita anemica. Ciò significa che le dimensioni dei salvataggi necessari sono sproporzionatamente grandi rispetto alle capacità fiscali.

Dal 2020, circa 5 trilioni di dollari di proprietà residenziali sono stati venduti attraverso il modello di prevendita. Supponendo che solo il 10% dei progetti richieda salvataggi pari alla metà del valore della proprietà, il costo totale è di 250 miliardi di dollari. Tale costo potrebbe aumentare rapidamente qualora le amministrazioni locali si rendessero conto si poter scaricare il costo tutto sul governo centrale, il che probabilmente spiega perché quest’ultimo sembra essere nel mezzo di un guado paralizzato nelle sue scelte.”


Il problema è duplice e cioè in primis dirottare gli investimenti dalle infrastrutture e l’immobiliare (generatori di debito netto) che costituiscono quasi il 35% del PIL verso altri settori dell’economia ed in secondo luogo la missione semi impossibile di invertire il tasso di natalità decrescente (più facile impedire alla gente di fare figli, eufemisticamente più difficile costringere a farli).
Da una parte il resto della struttura produttiva non è in grado di assorbire tale mole di investimenti; una alternativa potrebbe essere il settore dell’high tech ma la realtà è che qui la competitività è tale da rappresentare un limite alla possibilità di assorbimento, le scorciatoie del mercato immobiliare illustrate sopra sono inapplicabili e il comparto è stato invero già inondato di liquidità. Il mercato high tech è peculiare e non a caso HUAWEI è stata spazzata via nel campo della telefonia con uno schiocco di dita, o quasi; i suoi investimenti alternativi quali ad esempio la guida autonoma hanno ritorni zavorrati dall’embrionalità dei mercati ai quali si rivolgono e dalle incognite sulla competitività quando questi non saranno più solo una “fiera” di prototipi.
Quando si tratta di utilizzare tecnologia già disponibile è un conto, svilupparne di nuove efficienti e renderle realmente competitive è un altro: è necessaria la gestazione che fu richiesta a chi le tecnologie prese a prestito le aveva sviluppate. E tale gestazione è una livella che mangia i privilegi su cui il dragone contava in altri ambiti.
A questo proposito fattore da non sottovalutare è il conteggio dei “cervelli a disposizione del sistema”. I seguenti dati danno un quadro reale delle potenzialità in ambito tecnologico e soprattutto dell’attrattività dei poli di eccellenza che tendono in questo modo ad autoalimentare i propri vantaggi competitiviPercorso lavorativo

Dove lavorano i ricercatori migliori in AI


I dati si commentano da sé: fuga di cervelli che vengono formati ad un primo livello accademico in patria e poi emigrano a specializzarsi fondamentalmente in America, che rappresenta un polo di attrazione che la Cina evidentemente non è, e che difficilmente potrà diventare alle condizioni attuali, soprattutto quanto a libertà di pensiero.
Una soluzione potrebbe essere impedire materialmente tale fuga, soluzione politicamente molto pericolosa e dai risultati incerti, che non garantisce automaticamente lo stesso standard di risultato attenuto dai cinesi all’estero in un contesto aperto.


Restano allora i consumi che sono ciò che sostiene l’economia USA ma che in Cina rappresentano una delle quote più basse al mondo in termini di componenti del PIL nominale proprio a causa di quello stesso modello che ha sostenuto la crescita fino ad ora.

Consumi


Consumi le cui prospettive appaiono in contrazione ulteriore se si incrocia il trend demografico con la quota di PIL procapite a disposizione della popolazione over 65, in un quadro oltretutto di welfare ovviamente poco sviluppato (vedasi quanto detto a proposito della gestazione tecnologica, applicandola a quella sociale).

Consumi


Se il circolo investimenti – crescita – investimenti arriva ad un punto di svolta che presuppone un cambio di modello allora il problema è che tale cambio molto probabilmente deve essere a tutto tondo coinvolgendo in primis i centri di potere, portando con sé anche la semplice difficoltà nel dover demolire un sistema fin qui collaudato e performante.
E se il ciclo si blocca, la crescita frena e gli stessi investimenti infrastrutturali ed immobiliari che quella crescita portavano come presupposto si svalutano, allora si innesca un nuovo circolo vizioso di disinvestimenti-contrazione-disinvestimenti dove le imprese non assumono e i lavoratori consumano meno e così via.

La conseguenza che una simile dinamica può avere su un paese di più di un miliardo di persone con una forte personalizzazione del potere a primo impatto non può che essere di tipo “Russo”: condivisione militare del problema sul vicino più prossimo, che in questo caso risponde al nome di Taiwan.
In ultima analisi la scelta potrebbe ridursi tra una crescita da “prefisso” in stile europeo a partire dai prossimi anni o un crollo mondiale in caso di conflitto a breve periodo, con i cinesi questa volta a trainare la corsa controsenso.

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ahahahahahahahahahahahahahhahahah.....quando si mettono i grafici del nulla
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