Strumento finanziario con volumi di scambio in forte crescita oramai da anni, il certificato di investimento offre maggiori livelli di protezione rispetto all'investimento diretto sul sottostante, a fronte di moderati ribassi del mercato.
I regolamenti borsistici impongono all’emittente di garantire la necessaria liquidità negli scambi, attraverso la presenza costante di uno specialista (market maker) sul book in denaro e in lettera.
Elementi, talvolta trascurati dagli investitori, che, invece, rivestono particolare importanza quando si investe in questi strumenti, sono gli spread Bid/Ask e il tanto odiato Bid Only.
I regolamenti di questi strumenti consentono normalmente uno spread tra bid e ask da parte dello specialista sino ad un massimo di 3,5 punti percentuali (fino a 5 in alcune circostanze), anche se gli spread considerati "accettabili" dal mercato sono sotto i 2 punti percentuali, ma con obiettivo di 1 punto in condizioni standard di mercato.
Altro elemento significativo è il Bid Only, ovvero la possibilità concessa all'emittente di posizionarsi in solo acquisto su determinati prodotti, il che rende più difficile per l'investitore la possibilità di uscita a prezzi "premianti".
Il tema delicato è che il ricorso da parte delle emittenti al Bid Only, nonché all’allargamento dello spread denaro/lettera, tende ad aumentare su prodotti in sofferenza, rendendo, per l'investitore coinvolto, ancora più dolorosa la potenziale uscita.
Ho sviluppato una analisi per emittente su questi due driver, che vanno necessariamente considerati congiuntamente: è infatti generalmente preferibile per l'investitore vedere un prodotto con uno spread elevato ma con lo specialista ancora presente in bid & ask, piuttosto che un ricorso eccessivo alla pratica del bid only.
Per l'analisi mi sono avvalso del database di CEDLab (dati al 26 novembre 2022), da cui ho estratto dapprima tutti i certificati a capitale condizionatamente protetto in quotazione, distinguendo quelli regolarmente quotati in bid & ask da quelli finiti in bid only (Fig.1), e poi focalizzandomi sui certificati in bid only, ancora quotati, emessi negli ultimi quattro anni (Fig.2)
Dai grafici si evince che troviamo, apprezzabilmente, emittenti con percentuali bassissime di prodotti in bid only, mentre altre che ne fanno un ricorso quasi sistematico. Per correttezza, va sottolineato che emittenti giunte da poco sul mercato hanno spesso un numero di prodotti in bid only più basso rispetto ai competitors, non necessariamente per "comportamento virtuoso”, ma per minore longevità sul mercato. Sono quindi passato a valutare lo spread applicato nei certificati “in sofferenza”, intendendo quelli, al momento, con prezzo compreso tra 50% e 80% del nominale.
Ho esposto graficamente le medie degli spread applicati da ogni emittente ai certificati non in bid only, raggruppati in due fasce di prezzo: tra 50% e 70% (Fig. 3) e tra 70% e 80% (Fig. 4), per distinguere due diversi livelli di “sofferenza”.
Ho affiancato una analisi con grafici a scatole (Figure 5 e 6) per superare il limite dell’uso della media, eccessivamente sintetica: in questi grafici è, infatti, maggiormente apprezzabile la distribuzione degli spread applicati da ciascun emittente.
Per confronto, ho aggiunto (Figure 7 e 8) anche i grafici gli spread applicati ai certificati “in pre-sofferenza”, intendendo quelli con prezzo compreso tra 80% e 90% del prezzo di emissione.
Con prezzi superiori al 90% si rientra nelle condizioni standard e possiamo considerare gli spread, nella quasi totalità dei casi, nell’intorno di un punto percentuale.