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Le sanzioni USA sull’Iran colpiscono anche le aziende europee. Cosa c’è in ballo

Pubblicato 17.05.2018, 15:33
Aggiornato 02.09.2020, 08:05

Gli investitori continuano a valutare le implicazioni della decisione della scorsa settimana del Presidente USA Donald Trump di tirarsi fuori dall’accordo sul nucleare iraniano del 2015 che prevedeva l’annullamento delle sanzioni contro il paese mediorientale in cambio di un passo indietro da parte della nazione per quanto riguarda lo sviluppo di armi nucleari.

Non sono solo i mercati del greggio a risentire di questa decisione.

L’impatto arriva anche sulle aziende europee per via delle “sanzioni secondarie” imposte dagli Stati Uniti se continueranno a fare affari con l’Iran.

  • La scorsa settimana, gli Stati Uniti hanno reintrodotto le sanzioni economiche contro l’Iran
  • Le sanzioni secondarie contro le compagnie europee che fanno affari con l’Iran potrebbero costare miliardi.
  • Delle esenzioni o un intervento normativo UE potrebbero ridurne l’impatto
  • Il successo degli USA nel convincere l’Iran a rinegoziare potrebbe rendere discutibili le sanzioni

Mettendo fine all’accordo sul nucleare con l’Iran, Trump ha di fatto reintrodotto le sanzioni economiche contro il paese con il National Security Presidential Memorandum emesso l’8 maggio in cui ordina di “cessare la partecipazione degli Stati Uniti al Piano d’azione congiunto globale (JCPOA) e di adottare ulteriori misure per contrastare l’influenza nociva dell’Iran negando alla nazione tutte le strade verso un armamento nucleare”.

Tuttavia, il patto avrà delle conseguenze anche per le aziende non iraniane che fanno affari nella regione, secondo quanto emerge dal successivo report del Congressional Research Service:

“La decisione mette in atto un ristabilimento delle sanzioni economiche unilaterali USA che coinvolgeranno le imprese statunitensi e comprenderanno sanzioni secondarie mirate ai commerci originati in altri paesi impegnati a commerciare e fare investimenti in Iran”.

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Con la notevole eccezione del colosso dell’aeronautica USA Boeing (NYSE:BA), che ha firmato un accordo per la fornitura di 80 aerei del valore di 19 miliardi di dollari a prezzo di listino alla IranAir ed un altro accordo per 30 velivoli da fornire all’iraniana Aseman Airlines per un valore di circa 3 miliardi di dollari secondo il prezzo di listino, sono state soprattutto le aziende europee che si sono spostate in Iran a trarre vantaggio dal patto originale del 2015.

Boeing ha già promesso di seguire la decisione del governo statunitense. L’Amministratore Delegato della compagnia, Dennis Mullenburg, ad aprile ha reso noto che l’azienda non dipende più dagli accordi con l’Iran come prima, grazie agli sforzi aggressivi compiuti per la vendita dei 777-300ER di nuova generazione, gli aerei previsti dai termini dell’accordo.

L’esposizione europea

“Le sanzioni USA contro l’Iran stanno colpendo pesantemente le compagnie statunitensi ma sono mirate principalmente a quelle europee”, afferma Carl Bildt, co-presidente del Consiglio Europeo per le Relazioni Estere.

Nonostante l’alta percentuale di compagnie europee che ha siglato accordi nella regione nel 2015, l’impatto totale della riapplicazione di sanzioni secondarie resta poco chiaro. A seconda del settore, le aziende europee hanno a disposizione un periodo che va da 90 a 180 giorni (con scadenza rispettivamente il 9 agosto e il 4 novembre) per annullare i contratti, pena il pagamento delle sanzioni imposte direttamente dagli Stati Uniti.

Le divisioni americane di queste compagnie di fatto infrangerebbero le leggi statunitensi e incorrerebbero in penali, mentre a quelle che operano al di fuori degli Stati Uniti potrebbe essere vietato il commercio americano nell’ottica del “con noi o contro di noi”.

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La lista delle possibili aziende europee coinvolte è lunga e ci sono miliardi di euro di affari a rischio. I commerci tra Germania e Iran hanno raggiunto i 3,4 miliardi di euro (4,1 miliardi di dollari) lo scorso anno, secondo l’Associazione per il commercio estero BGA, spingendo il settimanale tedesco Der Spiegel a raccontare la storia sulla sua ultima copertina (riportata di seguito) intitolandola “Trump umilia l’Europa con l’uscita dall’accordo iraniano”.

Tra le compagnie coinvolte troviamo: i colossi energetici europei Total (PA:TOTF) e Royal Dutch Shell (LON:RDSb), che hanno entrambi contratti attivi con l’Iran; le case automobilistiche Renault SA (PA:RENA) e PSA Peugeot Citroen (PA:PEUP), che producono auto in Iran, così come Volkswagen (DE:VOWG) che ha iniziato ad esportare auto nel paese del Medio Oriente solo lo scorso anno.

Tuttavia, la minaccia commerciale più discussa per le compagnie europee riguarda la franco-tedesca Airbus (PA:AIR) che ha un contratto per la produzione di 100 aeromobili per la compagnia di bandiera iraniana IranAir in base ad un accordo del valore di 19 miliardi di dollari a prezzo di listino. Un accordo minore per 20 velivoli è stato siglato anche con il produttore franco-italiano di motori a turboelica ATR.

Esenzioni e leggi ancora indefinite

Tuttavia, non c’è ancora nulla di definitivo. A questo punto, le aziende europee possono scegliere di chiedere un’esenzione agli Stati Uniti al fine di continuare come sempre con le attività in Iran, anche se i funzionari americani devono ancora chiarire se sarà possibile o no. Alla Total è stata infatti concessa un’esenzione negli anni Novanta e il suo Amministratore Delegato ad aprile ha reso noto che cercherà di chiederla nuovamente.

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Inoltre, in situazioni simili in passato, l’Unione Europea ha minacciato sanzioni di ritorsione quando gli Stati Uniti hanno tentato di penalizzare le compagnie in affari con Cuba nel 1996. Quella volta gli Stati Uniti hanno ceduto.

L’ambasciatore dell’Unione Europea negli Stati Uniti ha indicato inoltre che l’Europa potrebbe mettere a punto delle “norme di blocco”, una misura che vieterebbe alle compagnie europee di rispettare le sanzioni statunitensi e che non riconoscerebbe alcuna sentenza che metta in atto le penali americane. I leader europei dovrebbero decidere se procedere questa settimana a Bruxelles, gettando le basi affinché i leader dei governi UE prendano una decisione finale in occasione del summit di Sofia, in Bulgaria, il 17 maggio.

Delle rinegoziazioni potrebbero rendere le sanzioni iraniane di breve durata

Domenica scorsa, il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca John Bolton ha dichiarato che “è possibile” che ci siano delle sanzioni secondarie contro le compagnie europee in conseguenza dell’uscita degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano. Bolton ha riferito alla CNN che secondo lui alcuni alleati europei finiranno per unirsi agli USA ritirandosi a loro volta dall’accordo, sebbene eventuali sanzioni contro le aziende dipenderanno dalla “condotta degli altri governi”.

Il Segretario di Stato USA Mike Pompeo ha riferito a Fox News sempre domenica che spera ancora che Washington e i suoi alleati possano siglare un nuovo accordo sul nucleare con Tehran. Il Segretario al Tesoro Steven Mnuchin ha già lasciato intendere che l’uscita degli USA dall’accordo è stata una mossa finalizzata a riportare l’Iran al tavolo delle trattative. “Queste sanzioni hanno un impatto su tutte le principali industrie (in Iran). Sono sanzioni molto pesanti”, ha dichiarato Mnuchin la scorsa settimana.

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In effetti, la bozza dell’applicazione delle sanzioni da parte del Tesoro mette in luce con precisione la natura varia delle sanzioni, che vanno oltre i settori automobilistico, aeronautico e petrolifero di cui abbiamo già parlato. Oltre alle sanzioni sull’oro, i metalli preziosi, le transazioni in dollari, il debito sovrano iraniano e la valuta, saranno colpiti anche alluminio e acciaio, carbone, software per l’integrazione di processi industriali, operatori portuali, esportazioni, costruzioni navali, transazioni finanziarie, servizi di stipula, assicurazioni, riassicurazioni e il settore energetico in generale.

“Hanno funzionato l’ultima volta. Ecco perché l’Iran è tornato al tavolo”, ha aggiunto Mnuchin in una chiara dichiarazione d’intenti del governo americano.

Fin quando non saranno finalizzati i dettagli, l’impatto sulle aziende europee resta indefinito, sia per quanto riguarda quali compagnie potranno ricevere le esenzioni, sia per il modo in cui l’UE reagirà se le sue imprese non dovessero ottenerle.

Ieri, il Wall Street Journal ha riportato che molte “… aziende europee hanno iniziato a ridurre gli investimenti e ad abbandonare gli impegni presi in Iran”, comprese Total, la compagnia energetica tedesca Wintershall, la cui compagnia madre, il colosso chimico BASF (BO:BASF) ha molte attività negli Stati Uniti, e Maersk (CO:MAERSKb), la compagnia di esportazione danese che ha annunciato che “smetterà di prendere ordinazioni di spedizione del greggio iraniano”. Anche Torm (CO:TRMDa), un’altra compagnia di esportazioni danese, ha smesso di prendere nuovi ordinativi dall’Iran.

Altre compagnie europee, come la casa automobilistica tedesca Daimler (DE:DAIGn), il gruppo ingegneristico Siemens (DE:SIEGn), l’austriaca Oberbank (VIE:OBER) e la britannica Serica Energy (LON:SQZ) hanno dichiarato che è troppo presto per stimare quale sarà l’impatto. Ciascuna di esse sta valutando le circostanze legate all’attuale incertezza prima di decidere come procedere.

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Teoricamente, la tattica di negoziazione di Trump potrebbe riportare l’Iran al tavolo, quindi potrebbe essere elaborato un nuovo accordo meno severo e le sanzioni - sia quelle primarie che quelle secondarie - potrebbero avere vita breve. Sebbene sembri improbabile, resta la speranza che le compagnie europee possano trovare un modo per ridurre i miliardi di euro di danni causati da quest’ultimo sviluppo geopolitico.

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