Il dollaro USA ha continuato a cedere terreno lunedì sulla scia dei dati economici disomogenei e dell’esacerbarsi delle tensioni commerciali.
Gli investitori hanno reagito energicamente all’ultimo rapporto sul lavoro, invece la guerra commerciale è passata in secondo piano.
Sebbene l’economia USA abbia creato più posti di lavoro del previsto nel settore privato (213.000 a fronte dei 195.000 previsti), il dollaro è caduto bruscamente sull’onda della pubblicazione del dato.
Il tasso di disoccupazione è salito al 4% (dal 3,8% di maggio) perché è aumentato il numero di persone in cerca di occupazione.
Sembra però che i partecipanti al mercato abbiano scelto di concentrarsi sull’assenza di pressioni positive sull’occupazione.
L’aumento delle retribuzioni è infatti l’unico pezzo mancante del puzzle della piena occupazione.
Le retribuzioni sono cresciute in media solo del 2,7% (rispetto al 2,8% previsto), quindi la crescita dei salari adeguata all’inflazione sarebbe assente o addirittura in calo a giugno (a maggio l’inflazione primaria è salita del 2,8% su base annua e dovrebbe essere salita del 2,9% a giugno, grazie all’incremento dei prezzi del petrolio).
In previsione di pressioni inflattive più deboli, gli investitori hanno rivisto al ribasso le loro aspettative sui rialzi del tasso.
Stando all’indice OIS, la probabilità di un rialzo del tasso a settembre è scesa al 73% dall’84% di qualche giorno fa.
Anche se si tratta di un calo marginale, rispecchia il sentiment generale del mercato.
L’azionario ha reagito positivamente alla prospettiva di un corso dei tassi meno brusco negli USA.
Stamattina il biglietto verde è sceso in modo generalizzato.
L’EUR/USD è salito dello 0,22% a 1,1775, l’AUD/USD ha raggiunto quota $0,7465 (in rialzo dello 0,50% durante la seduta), invece l’USD/CHF è calato dello 0,22%, a 0,9872.
Siamo comunque ancora all’interno della fascia mensile.
La guerra commerciale impedirà un’ondata massiccia di USD perché gli investitori manterranno un approccio prudente.