L’inflazione negli Stati Uniti rasenta ormai l’8%. Secondo alcuni economisti di noti giornali d’oltre oceano, la risposta migliore (e più rapida) all’aumento del caro-prezzi, per difendere i consumatori, è quella di aumentare lo stimolo monetario fornendo un pagamento diretto ai cittadini (come avvenne durante la pandemia).
È davvero la migliore soluzione? Secondo il nostro punto di vista no, perché tutto quel denaro “stampato dal nulla” ed immesso nel sistema (che oggi ti riempie le tasche) domani lo pagherai con un ulteriore aumento del costo della vita. Benché l’inflazione odierna non derivi esclusivamente da questo fattore, voler combattere l’inflazione aumentando la stessa (attraverso la stampa di denaro) traccia la strada verso serie criticità. Non è un caso che la curva dei rendimenti USA stia, ormai pericolosamente, scivolando verso lo 0%.
C’è un altro evento che sta minando seriamente l’egemonia USA e la “credibilità” del dollaro: il petroyuan, ovvero, il commercio del greggio denominato in valuta cinese, piuttosto che statunitense.
Il ruolo dei sauditi nella “caduta” del dollaro
L'Arabia Saudita sta valutando la possibilità di contrattare almeno alcune delle sue vendite di petrolio in yuan. Secondo il Wall Street Journal, la mossa intaccherebbe il dominio del dollaro USA sul mercato petrolifero globale, designando l’Asia come nuovo principale esportatore mondiale di greggio.
Ad oggi, la maggior parte delle contrattazioni globali di petrolio è effettuata usando il dollaro statunitense. Questo ha permesso agli USA di aumentare (inevitabilmente) la domanda del biglietto verde; di fatti chiunque voglia negoziare greggio deve possedere dollari per farlo. “L’imposizione” della Federal note nel mondo sostiene la politica di spesa e prestito degli Stati Uniti. Fin tanto che il mondo necessita di dollari, la banca centrale può continuare a generarne in gran quantità monetizzando il debito. Una domanda in calo, come è possibile immaginare, rallenterebbe notevolmente questo processo; gli Stati Uniti non sarebbe più in grado di sostenere l’enorme disavanzo di bilancio.
L’Arabia Saudita, dunque, gioca un ruolo fondamentale nel contesto storico che stiamo vivendo, perché dal 1974 vendono il petrolio (sulla base di un accordo con l’amministrazione Nixon) esclusivamente in dollari USA. Se i Sauditi si allontanassero (anche parzialmente) da questa abitudine per avvicinarsi allo yuan cinese, sarebbe un bel pugno nello stomaco per il nuovo continente. Al contrario, l’economia cinese ne uscirebbe rinvigorita, spostando l’asticella del predominio mondiale. Tuttavia essendo il riyal saudita ancorato al dollaro, forse, questa transizione valutaria potrebbe essere ancora lontana.
Tutto ciò non è una novità, i cinesi si sono posti come alternativa agli USA già tempo fa, lanciando contratti futures petroliferi basati sulla loro moneta nel 2018. Il successo di questa operazione è stato un discreto e non ha scalfito più di tanto il predominio del dollaro. Il processo di de-dollarizzazione da parte di Cina (e Russia) però non si ferma solo al petrolio; di fatti tali derivati denominati in yuan sarebbero anche liberamente convertibili in oro.
Lo Swift: L’esclusione dal circuito punisce davvero la Russia…
…Oppure c’è il rischio che come un boomerang torni indietro colpendo gli USA? Dopo che l’armata rossa ha invaso l'Ucraina, gli Stati Uniti hanno tagliato fuori alcune banche russe, inclusa la banca centrale, dal sistema di pagamento SWIFT.
Il sistema consente agli istituti finanziari di inviare e ricevere informazioni sulle transazioni finanziarie in un ambiente sicuro e standardizzato. Poiché il dollaro funge da valuta di riserva mondiale, lo SWIFT facilita l’internazionalizzazione del dollaro, dando agli Stati Uniti una grande influenza su altri paesi.
Tale vantaggio però dipende (ancora una volta) dal ruolo del biglietto verde come valuta di riserva globalmente riconosciuta. Un calo della domanda sarebbe una pessima notizia per un governo come quello a stelle e strisce che dipende da quest’ultima per finanziare la sua spesa.