I trader del greggio non potrebbero essere più confusi. Due posizioni apparentemente contrastanti dell’Arabia Saudita - la possibilità che possa estrarre più greggio e che possa tagliare la produzione questo trimestre - hanno lasciato il mercato senza direzione.
Soprattutto, hanno eliminato qualsiasi timore immediato che avevano i trader in merito alle imminenti sanzioni USA contro l’Iran ed alla carenza di scorte dovuta ad esse. Rispetto alla paura che la produzione petrolifera globale potesse perdere tra gli 1,5 e i 2 milioni di barili al giorno una volta entrate in vigore le sanzioni questa domenica, gli operatori dei mercati ora ritengono che i sauditi riusciranno a compensare eventuali carenze delle esportazioni iraniane.
E questa teoria viene attribuita alle parole del Ministro per l’Energia saudita Khalid al-Falih. Il ministro la scorsa settimana avrebbe infatti affermato che soddisfare le richieste dei clienti nel vuoto lasciato dalle scorte iraniane è tra le priorità del regno.
L’omicidio rende tutto più confuso
Sebbene ci fosse un certo scetticismo circa il fatto che Riad possa riuscire a superare l’attuale produzione di 10,5 milioni di barili al giorno, le parole di Falih sono state prese sul serio in quanto si è espresso nel bel mezzo del trambusto legato all’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi.
Molti pensano che la questione Khashoggi abbia posto l’Arabia Saudita alla mercé del Presidente USA Donald Trump, che vuole che il regno aumenti la produzione il più possibile in modo che i prezzi del greggio non subiscano impennate per via delle sanzioni iraniane in vista delle importantissime elezioni di metà mandato USA del 6 novembre. Dare retta alle richieste di Trump viene considerato un modo per Riad di evitare le sanzioni USA per l’omicidio del giornalista.
Dopo le parole di Falih, i mercati del greggio hanno effettivamente fatto una totale inversione a U rispetto alla straordinaria impennata di settembre, perdendo il 3% solo nella scorsa settimana, con il tonfo dei mercati azionari globali che va ad aggiungersi alle attuali difficoltà.
A soli un paio di giorni per la fine di ottobre, il Brent, il riferimento globale, si avvia a segnare un crollo di quasi il 7% questo mese, il peggiore dal luglio 2016. Il Brent oscilla a 77 dollari al barile e, sebbene a settembre si prevedesse che avrebbe presto toccato i 100 dollari, al momento sarà già tanto se riuscirà a tornare ai massimi del 2014 sopra gli 86 dollari segnati quattro settimane fa, secondo alcuni trader.
I sauditi cambiano tono, l’Iran aggiunge il suo tocco personale
Qualche giorno dopo le parole di Falih, il governatore dell’OPEC saudita Adeeb Al-Aama - il numero 2 del greggio nel paese - ha cercato di cambiare la sensazione dei mercati che Riad stesse raggiungendo il limite di produzione, affermando che il mercato petrolifero potrebbe risultare in esubero questo trimestre e suggerendo che potrebbero essere necessari dei tagli alla produzione. Ma questo è servito solo a confondere i trader e molti hanno deciso di mantenere le posizioni o di continuare a vendere, dal momento che il percorso della resistenza minima sembra essere più basso. Il tonfo stesso della scorsa settimana ha lasciato le scommesse rialziste sul greggio USA degli hedge fund al minimo di oltre un anno.
Ad alimentare il mistero dell’impatto delle sanzioni iraniane ha contribuito Tehran stessa, affermando domenica di aver cominciato a vendere greggio a raffinerie private nel paese per l’esportazione, nell’ambito di una strategia per contrastare le sanzioni. Ieri Reuters ha riportato che le petroliere che trasportano il greggio iraniano a volte spengono il segnale AIS di identificazione automatica per poi riaccenderlo successivamente durante il viaggio. Le variazioni sul calendario delle petroliere e le modifiche settimanali del carico complicano ulteriormente il tracciamento, spiega.
Le reazioni globali rendono il rompicapo più grande
Sul fronte globale, mentre la Cina ha chiesto alle sue aziende nazionali di smettere di comprare greggio dall’Iran, altri importanti importatori come UE ed India stanno cercando modi per aggirare le sanzioni statunitensi. Il governo Trump, nel frattempo, teme che la Russia possa comprare greggio iraniano e rivenderlo come se fosse il proprio.
E tutto questo spinge a chiedersi: chi ha l’asso nella manica nelle sanzioni iraniane? La risposta, in base a quanto abbiamo detto, è che a quanto pare non ce l’ha il presidente USA.
Sono i sauditi ad avere l’asso nella manica?
La londinese Energy Aspects pensa che i sauditi, spesso descritti come gli unici produttori ad avere una “reale” capacità di scorte, alla fine daranno una svolta alla partita rivelando la loro mano: cioè che non possono compensare tutti i barili di greggio iraniano perduti.
L’agenzia ha scritto in una nota ieri:
“Al-Falih ha commesso l’errore di parlare sia delle prospettive a breve termine che di quelle a lungo termine del mercato quando la capacità di concentrazione si è talmente ridotta che separare le due è diventato chiedere troppo. Regna la confusione. L’Arabia Saudita non immetterà grandi quantità di greggio in eccesso sul mercato”.
Aggiunge che il cosiddetto legame politico tra la questione Khashoggi e le esportazioni petrolifere del regno è stato un completo fraintendimento da parte del mercato e che “l’Arabia Saudita non ha la capacità di produrre più di 10,9 milioni di barili a breve termine”.
Tuttavia qualcuno, come Dominick Chirichella, direttore del rischio e del trading dell’Energy Management Institute di New York, pensa che, piuttosto che la risposta di un solo paese, è una serie di fattori globali di offerta-domanda che deciderà la reazione definitiva del mercato al dilemma. Spiega Chirichella:
“Prevedo che la volatilità continuerà, almeno a breve termine, con il mercato che seguirà ogni commento e dato legato al potenziale impatto delle sanzioni iraniane”.