Uno degli argomenti che più spesso sarebbe opportuno trattare, al di là delle analisi macroeconomiche, al di là della valutazione dei singoli asset, è il nostro comportamento come investitori, e come tali comportamenti vadano ad influenzare le nostre scelte di compravendita.
Si parla sempre della figura del buon investitore come una persona al 100% razionale e che ragiona solo ed esclusivamente basandosi sui dati e sulle valutazioni oggettive. La realtà però è assai più complessa di così: sebbene l’investitore razionale sia, o dovrebbe essere, l’aspirazione di tutti noi che operiamo nei finanziari, in verità l’essere umano non è unicamente un individuo razionale, poiché ha al proprio interno l’emotività.
Le emozioni sono, per loro natura, irrazionali, e spesso vanno in contrasto con la pura logica, e per questo rischiano di diventare nemiche per l’investitore.
Tuttavia dire semplicemente “sii razionale ed elimina l’emotività” non risulterebbe né completo, né tantomeno utile: le emozioni fanno parte di noi, non bisogna tentare di eliminarle inutilmente, bisogna conoscerle, comprenderle e saperle gestire.
Si tratta di un lungo percorso per un investitore al termine del quale, però, sarà maggiormente consapevole e competente.
Oggi analizzeremo insieme uno dei più comuni bias che abbiamo come investitori, parliamo oggi dell’home bias.
Iniziamo dalla base: cos’è l’home bias?
Si tratta di un comportamento, o per meglio dire di una tendenza degli investitori a prediligere delle azioni della propria nazione di appartenenza, ignorando nei casi peggiori, o minimizzando nei casi migliori, le azioni estere.
Tale tendenza la si può riscontrare molto facilmente in giro, tra amici, colleghi, se non addirittura in noi stessi.
Ma perché abbiamo tale tendenza?
Inizialmente la spiegazione più diffusa era quella dei limiti oggettivi che si riscontravano per investire nei mercati esteri, come alti costi di transazioni o diverse restrizioni legali.
In realtà l’interpretazione più largamente accettata oggi è che questa tendenza deriva da una nostra predisposizione come esseri umani, i quali preferiscono avere a che fare sempre con qualcosa a loro familiare, anziché doversi rapportare con qualcosa che non conoscono. Credo tutti noi possiamo ripercorrere velocemente le nostre abitudini ed accorgerci di ciò: andiamo sempre allo stesso supermercato, frequentiamo gli stessi locali ecc.
Da questo punto parte la nostra tendenza nell’investire in azienda nazionali, aziende che, almeno secondo la nostra testa, conosciamo.
Se pensiamo che si tratti di un fenomeno esclusivamente italiano, beh, in realtà non è così.
Questo bias è presente tanto nei Paesi sviluppati, come gli USA, quanto nelle economie emergenti. Per chi avesse analizzato qualche portafoglio statunitense, si sarà certamente resoconto che quasi la totalità dei titoli all’interno fanno parte del mercato americano, solitamente una porzione che va dal 70% all’80%. Tuttavia se da una parte si può maggiormente comprendere perché gli investitori di una superpotenza economica investono prettamente nella loro economia, non si può essere altrettanto comprensivi degli investitori nei paesi emergenti o nelle piccole economie.
Un classico studio accademico a cui possiamo fare riferimento è quello della fine degli anni ‘80 in Svezia: secondo tale ricerca gli investitori svedesi avevano dei portafogli quasi esclusivamente composti da investimenti nazionali, e stiamo parlando della Svezia, la quale rappresentava solo l’1% del mercato azionario mondiale.
Dunque tutti hanno questa tendenza, ma quali sono i fattori che la scaturiscono?
N.1: la familiarità
Come abbiamo detto il fattore principale dell’home bias è proprio la tendenza dell’investire in ciò che si conosce, o si pensa di conoscere.
Quindi, se ci troviamo davanti due aziende che non conosciamo, di cui una è italiana, per un senso di familiarità, per una tendenza a considerarla più vicina a noi e dunque “più sotto controllo”, indipendentemente che sia vero o no, avremo la tendenza a prediligere quella italiana.
N.2: I costi di transazione
Questo accade soprattutto con determinati strumenti di negoziazione, come le nostre Banche, i quali hanno dei costi di transazione molto più contenuti se si investe in aziende nazionali.
Ora: molti investitori, specie quelli più disinteressati o i neofiti, tendono a non optare per aziende che prevedono più alte commissioni di negoziazione, ed è un ragionamento assolutamente sensato.
Ma ci sono due punti da dover considerare: in primo luogo se la vostra Banca, il vostro Broker, la vostra Sim o quant’altro applichi dei costi commissionali tali da non farvi considerare aprioristicamente un mercato, valutate di cambiare operatore; al giorno d’oggi ci sono tantissimi servizi offerti che possono venire incontro a tutte le esigenze. In secondo luogo, bisognerebbe considerare se le potenzialità di un’azienda estera non possano valere effettivamente il costo della commissione; si tratta ovviamente di un discorso a lungo, lunghissimo termine.
N.3: il cambio in una valuta estera
Indipendentemente da tutti i nostri ragionamenti questo è un punto chiave: investire in azioni estere comporta comunque un rischio di cambio. Anche se non convertiamo i nostri Euro in Dollari magari, investire in un ETF americano, composto da aziende che operano in dollari, ovviamente ci espone comunque ad un rischio indiretto sul Dollaro.
Poi aggiungiamo il fatto che molti investitori non hanno bene in chiaro come funzionino le valute e capiamo come si preferisca rimanere con la valuta propria.
Anche se, d’altra parte, avere unicamente una valuta può esporci comunque a grandi rischi; caso estremo, provate a pensare ai russi che avevano solo rubli in portafoglio, cosa è successo al loro patrimonio a seguito dell’invasione dell’Ucraina.
N. 4: il rischio politico
Molto simile al discorso del rischio di valuta, investire in aziende estere ci fa assumere un rischio politico importante, che può impattare molto i nostri asset.
Sempre per fare un esempio accademico, ricordo come sono andati i Portafogli che avevano una grande componente cinese nel 2021. Le grandi perdite sono state causate proprio da un rischio politico.
Questo fa sì che molte persone decidano preventivamente di evitare il rischio estero rimanendo “in casa”.
Attenzione però, ciò vale anche per noi: non diversificando ci assumiamo un grande rischio politico, quello del nostro Paese.
Quindi, una volta capito tutto questo, cosa possiamo fare?
Ogni buon Consulente Finanziario non può non dare questo consiglio: analizza il tuo Portafoglio e diversifica.
Investire in aziende nostrane può portare enormi vantaggi e benefici, ma bisogna sempre ricordare che al di là del nostro muro c’è un mare di opportunità.
Mi rendo perfettamente conto che si preferisce investire in qualcosa che sentiamo come più vicino a noi, ma non per questo dobbiamo fermarci. Impegnandoci e studiando potremmo accorgerci di molte più opportunità. Come abbiamo visto ci sono diversi fattori che vengono considerati degli svantaggi per investire all’estero, ma se si applica una lente più grande ci accorgeremo che si tratta degli stessi problemi nell’investire unicamente nel nostro Paese.
Per concludere: diversifica, diversifica, diversifica; senza però andare a disperdere, tendenza opposta che possiamo avere.