- La Russia dovrà sfidare concretamente il price cap
- La Cina potrebbe implementare altre riaperture dai lockdown contro il COVID
- L’OPEC+ deve supportare il mercato con parole interventiste; altrimenti, con dei tagli
- Bottom del WTI visto a 71,30 dollari, del Brent a 75,50 dollari
Per un po’, tra domenica sera e ieri mattina a New York, sembrava che i tori del petrolio avessero avuto quello che volevano: la Russia sembrava molto arrabbiata per il price cap.
Inoltre, la riunione dell’OPEC+ del weekend si è conclusa lasciando invariati i piani di produzione, presumibilmente in anticipazione di una forte stretta sulle scorte da parte della Russia in Europa, in risposta al price cap.
Infine, numerose città cinesi, compresi hub economici come Shanghai e Pechino, avrebbero allentato le restrizioni contro il COVID che nelle ultime settimane avevano scatenato le proteste.
Questi tre fattori hanno spinto i prezzi del petrolio di quasi il 3,5% ad un certo punto ieri, con il West Texas Intermediate che ha raggiunto gli 82,71 dollari al barile ed il londinese Brent arrivato ad 88,44 dollari.
Il petrolio alla fine ha chiuso la giornata a -2%.
Ma gli stessi tre fattori potrebbero farlo salire ancora.
1. La Russia congela le esportazioni petrolifere in risposta al price cap
Non basta che la Russia dica che il price cap è inaccettabile. Dovrà dare prova di ribellione tagliando le forniture al mercato.
Il calo del greggio dai massimi ieri è avvenuto perché alcuni trader non sono del tutto sicuri che il price cap UE di 60 dollari al barile imposto sul petrolio russo sia bullish per il greggio.
I trader inizialmente temevano che i paesi UE avrebbero scelto un limite molto più basso, di 50 dollari o meno, che sarebbe bastato a far arrabbiare il Presidente Vladimir Putin spingendolo a procedere con la minaccia di tagliare la produzione o le esportazioni petrolifere russe per punire a sua volta l’Europa. Ma, alzando il tetto, l’Europa potrebbe evitare una ritorsione russa, mantenendo i flussi petroliferi di Mosca e i prezzi bassi.
2. Altre riaperture in Cina
La Cina ha allentato parte delle restrizioni sugli spostamenti e sui test nella scorsa settimana, facendo sperare in un dietrofront a livello nazionale. Secondo alcune voci, Pechino potrebbe annunciare ulteriori allentamenti nelle prossime settimane.
Il governo di Xi Jinping dovrà fare di più per far aumentare la domanda petrolifera reale (o quantomeno percepita) della principale nazione importatrice di greggio al mondo.
La riapertura sarebbe positiva per i mercati petroliferi. La riduzione della domanda cinese per via della politica anti-COVID è stata una delle principali cause della pressione alla vendita sui mercati petroliferi quest’anno.
Il consenso tra gli esperti sanitari e gli osservatori, però, è che Pechino allenterà parte delle sue rigide misure sanitarie e, così facendo, i casi di COVID aumenteranno.
3. Supporto dell’OPEC+
L’OPEC+ ad ottobre ha annunciato una riduzione da 2 milioni di barili al giorno che durerà anche nel 2023.
Nel fine settimana, l’alleanza ha deciso di mantenere questo obiettivo, probabilmente nell’idea che il price cap russo e le riaperture in Cina aiuteranno i prezzi a recuperare gran parte del 40% perso dai massimi di marzo.
Ma, cambiando argomento: i prezzi del greggio hanno raggiunto il bottom? Se no, quanto ancora potrebbero scendere?
Bottom per il WTI
Grafico di SKCharting.com con i dati di Investing.com
Secondo l’esperto di grafici dei mercati delle materie prime Sunil Kumar Dixit, di SKCharting.com, il potenziale di ribasso per il greggio USA è limitato:
“Un bottom a breve termine potrebbe già essere comparso al minimo della settimana precedente di 73 dollari, o potrebbe arrivare tra 72 e 71 dollari.
Bottom per il Brent
Grafico di SKCharting.com con i dati di Investing.com
L’azione di prezzo settimanale per il Brent resta positiva, dato che il minimo della settimana prima di 80,60 dollari resta intatto, spiega Dixit, aggiungendo:
“Fino a quando questo minimo di 80,60 dollari non sarà violato, una ripresa verso la SMA su 100 settimane di 85,44 dollari, seguita dalla EMA su 5 settimane di 88,40 dollari, è probabile”.
Il Brent potrebbe scendere alla SMA su 200 mesi di 77,60 dollari, seguita dalla EMA su 50 mesi di 75,50 dollari.
Nota: Barani Krishnan utilizza una varietà di opinioni oltre alla sua per apportare diversità alla sua analisi. Per neutralità, a volte presenta opinioni e variabili di mercato contrarie. Non ha una posizione su nessuna delle materie prime o asset di cui scrive.