Le preoccupazioni riguardo a un rallentamento economico più pronunciato del previsto, sia in Cina che in Europa, insieme alle nuove pressioni al rialzo sui prezzi del petrolio, hanno indotto ieri gli investitori ad un atteggiamento più difensivo. Tuttavia, questo stile non ha seguito il tradizionale modello di risposta, con i rendimenti obbligazionari in rialzo e il settore growth a riportare una performance superiore. Quest’ultimo trainato dagli aumenti nel settore tecnologico e delle comunicazioni. Un quadro settoriale che evidenzia soprattutto la mancanza di una chiara narrativa azionaria guidata da un unico fattore macroeconomico dominante. In questo contesto, è sensato bilanciare le esposizioni tra asset orientati alla crescita e quelli di natura difensiva. Concentrarsi sulla crescita difensiva e sugli asset a lunga durata, come il settore sanitario e le grandi aziende tecnologiche, appare opportuno. Allo stesso tempo, è appropriato adottare una posizione cauta nei confronti dei settori ciclici esposti alla crescita, delle materie prime alle banche.
Ieri si sono verificati notevoli movimenti al rialzo e fonti di preoccupazione a seguito dell’annuncio dell’Arabia Saudita riguardo all’estensione unilaterale del taglio della produzione di petrolio di 1 milione di barili al giorno per il resto dell’anno. Questa estensione è risultata essere superiore alle aspettative degli operatori, spingendo i prezzi del petrolio ai massimi dell’anno, con il Brent che ha momentaneamente superato i 90 dollari al barile. Da un lato, i mercati e le economie dovranno ora affrontare le conseguenze di un prezzo del petrolio più elevato. D’altro canto, potrebbe essere un conforto il fatto che l’Arabia Saudita, pur mantenendo una produzione di petrolio a livelli molto bassi, è riuscita a incrementare i prezzi del petrolio solo in misura limitata. Questo potrebbe riflettere una domanda relativamente debole, specialmente in Europa e in Cina, considerando anche il rafforzamento del dollaro.
Negli ultimi tre mesi, i dati economici statunitensi hanno superato le aspettative, in contrasto con la tendenza di indebolimento osservata in Cina e gran parte dell’Europa. Questo ha portato a un aumento dell’indice del dollaro statunitense del circa 5% dalla metà di luglio. Questo slancio economico relativo è un elemento che probabilmente continuerà a sostenere il dollaro per il resto dell’anno. Tuttavia, è importante notare che i differenziali di tasso di interesse tra gli Stati Uniti e gli altri paesi potrebbero iniziare a restringersi, poiché la Federal Reserve si avvicina alla conclusione del suo ciclo di rialzo dei tassi d’interesse. Questa situazione potrebbe limitare l’ulteriore apprezzamento del dollaro. Attualmente, il dollaro USA si trova vicino a importanti livelli di resistenza, e l’indicatore RSI (Relative Strength Index) mostra una divergenza ribassista, sottolineando la necessità di monitorare attentamente l’evoluzione della situazione.
Il mercato valutario continua a essere al centro dell’attenzione, soprattutto in Giappone. Il cambio USD/JPY sta registrando nuovi massimi dall’inizio dell’anno, con un aumento superiore al 12%. Questi recenti movimenti hanno suscitato una reazione da parte delle autorità giapponesi durante la notte. Il viceministro delle finanze, Kanda, ha dichiarato che, se tali movimenti persistessero, il governo adotterà le misure necessarie, senza escludere alcuna opzione. In seguito a queste dichiarazioni, la coppia USD/JPY è scesa al di sotto del livello di 147,50. Va notato che l’ultimo intervento delle autorità giapponesi risale a ottobre 2022, generando correzioni importanti sulla coppia valutaria. Un eventuale intervento futuro potrebbe limitare l’ascesa dell’USD/JPY nel breve termine, come da ultimo intervento, tuttavia, i principali motori di spinta per l’USD/JPY sembrano essere più legati a fattori fondamentali, come l’evoluzione della politica monetaria. Durante la notte, Takata, membro del consiglio di amministrazione della Bank of Japan (BoJ), ha menzionato segnali positivi che potrebbero sostenere l’obiettivo della BoJ di raggiungere un tasso d’inflazione del 2%. Ha comunque sottolineato la necessità di perseverare con cautela nell’attuazione di politiche monetarie accomodanti su ampia scala, date le elevate incertezze.
Gabriel Debach
eToro Italian Market Analyst
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