Nelle ultime settimane ho letto molte analisi in merito alle cause che avrebbero innescato il pesante calo del bitcoin di metà novembre.
Alcune sensate, altre caratterizzate da elementi di considerazione privi di fondamento.
Con quest’articolo voglio mettere a sistema tutte le informazioni relative agli ultimi eventi e delineare il quadro che ha determinato l’attuale scenario.
Ricostruiamo quanto accaduto negli ultimi mesi.
Da inizio settembre fino a metà novembre 2018 il bitcoin è entrato in una fase di ranging market che ha determinato un calo drastico della volatilità e dei volumi di scambio, tanto che la moneta e il mercato cripto per alcune settimane hanno presentato dei profili di stabilità superiori ai principali titoli azionari, che da ottobre sono in forte sofferenza.
Parallelamente abbiamo assistito a enormi volumi di scambio sul mercato OTC (Over the Counter), segnale chiaro che grandi investitori avevano iniziato ad accumulare notevoli quantità di bitcoin.
Vi ricordo che in quella fase il trading range era tra i $ 6100 e i 6800.
E’ bene sottolineare come fino a metà novembre quasi nessuno si aspettava un calo della moneta sotto i $ 6000, anzi l’entusiasmo generato dall’imminente rilascio di alcuni prodotti finanziari a replica fisica del bitcoin, tra cui i futures della piattaforma BAKKT di proprietà della New York Stock Exchange, e dalle buone probabilità di vedere entro la primavera del 2019 i primi bitcoin ETF, aveva indotto molti analisti a effettuare dei paralleli con l’autunno 2017, prima della bull run di fine anno.
Anche il quadro fondamentale del bitcoin e dell’intero mercato era, ed è ancora, estremamente positivo.
In tale contesto ricordiamo i primi tentativi in Europa di introdurre le criptovalute nelle legislazioni dei singoli stati (con il Parlamento europeo che con la direttiva 2018/843 di fatto obbliga gli stati membri a introdurre lo status di Valute Digitali nei rispettivi ordinamenti giuridici entro il 2020) e il primo framework normativo ad opera del governo maltese, che regolamenta gli asset finanziari virtuali.
Per non parlare delle adozioni di altre blockchain come Ripple e Stellar da parte di multinazionali che operano nel settore dell’informatica e dell'instant payment.
Dunque che cosa è successo?
A mio avviso, da un punto di vista squisitamente tecnico, dopo la rottura del supporto chiave in area $ 6000 il 14 novembre, è iniziata una reazione a catena che ha determinato il sell-off e il conseguente crollo del bitcoin fino alle quotazioni attuali.
Intanto tutti quegli operatori che da mesi accumulavano grosse quantità di bitcoin sul mercato OTC, sono rimasti spiazzati dall’evento e c’è da scommettere che, per minimizzare le perdite, siano corsi a smobilitare parte, se non tutte le posizioni aperte nei mesi precedenti.
Viste le grosse cifre in gioco, sono certo che molti non abbiano avuto la freddezza e la lucidità di completare la vendita Over the Counter, anche perché per perfezionare una transazione simile possono volerci anche dei giorni, soprattutto in una fase di forti movimenti dei prezzi (e a maggior ragione dopo la rottura di un livello chiave).
Molto più semplice e immediato procedere alla vendita nei classici spot market, cioè le varie piattaforme di scambio del mercato e questo chiaramente ha influito direttamente sulla quotazione, al contrario delle transazioni OTC.
Anche gli investitori retailers che nei mesi scorsi avevano iniziato ad accumulare bitcoin sulle ali dell’entusiasmo per lo stesso ordine di ragioni illustrato in precedenza, sono rimasti bruciati dal brusco calo e hanno iniziato a vendere massicciamente le proprie monete.
Stesso discorso per tutti quei traders che operano con il margin trading: infatti tra il 14 e il 15 novembre sono scattate una serie impressionante di margin calls che hanno portato alla liquidazione forzata di tutte le posizioni long aperte nelle settimane e nei mesi precedenti.
Alla luce di questi elementi di considerazione, è chiaro a mio parere come il panic selling derivante dalla rottura del supporto in are 6000$ abbia innescato il sell off che ha dato il là al crollo del bitcoin; sell-off che ha continuato ad autoalimentarsi fino a spingere la moneta sotto i $ 5000.
Da notare come nel giro di una settimana siano stati spazzati via due supporti ($ 6000 e 5000) considerati più che solidi, con il primo che ha sostenuto la quotazione per tutto il 2018 e il secondo che rappresenta un livello tecnico chiave oltre che un'importante soglia psicologica.
A questo punto la rottura tecnica dei $ 5000 ha determinato il cedimento del fronte di quegli investitori che avevano resistito alla prima ondata di vendite, che dunque sono corsi a liquidare le posizioni residue e hanno condotto il bitcoin a violare anche il supporto in area $ 4000 il 24 novembre.
Questo a mio parere è quello che è avvenuto dal punto di vista tecnico.
Ora cerchiamo di individuare i drivers fondamentali che hanno contribuito a determinare il primo sell-off del 14 novembre.
Molti hanno gridato alla speculazione.
Non mi sento di escludere a priori qualche manovra speculativa, anche se non credo abbia influito direttamente sul calo delle ultime settimane.
Non si può negare però che ci siano state alcune circostanze quantomeno sospette.
Infatti i prodotti finanziari in fase di lancio elencati in precedenza favoriranno l’ingresso di capitali istituzionali e di grandi investitori, dunque potrebbero essere state messe in campo una serie di manovre volte a sopprimere temporaneamente il prezzo del bitcoin, così da favorire l’ingresso di questa nuova liquidità a condizioni decisamente più vantaggiose.
E in un mercato "small cap" come quello crypto, dove è sufficiente disporre di fondi nell’ordine dei milioni di dollari per provocare oscillazioni della quotazione di svariati punti percentuali, implementare simili strategie è davvero semplice.
In quest’ottica, la speculazione potrebbe aver contribuito indirettamente al pesante calo del bitcoin, spingendo il prezzo violentemente al ribasso il 14 novembre fino a rompere il supporto chiave sui 6000$, così da innescare il successivo panic selling.
Siamo comunque nel campo della teoria e non c’è possibilità di fornire un supporto probatorio a queste affermazioni, dunque vanno considerate esclusivamente ipotesi.
Il Tether affaire
Uno degli eventi principali che ha contribuito a creare paura e incertezza del mercato, è stato senza dubbio lo spread tra gli USDT e il dollaro (la moneta di cui questi token dovrebbero replicare l’andamento), che dal 15 ottobre ha condizionato pesantemente gli scambi.
Ho già scritto a proposito del tether affaire e qui puoi approfondire la storia, dunque non mi soffermerò a spiegare l’antefatto.
Oggi gli inutili allarmismi delle ultime settimane in merito all’insolvenza della società Tether sono rientrati, infatti quest’ultima ha completamente chiarito la propria posizione e al momento della scrittura lo scostamento tra gli USDT e il dollaro è praticamente azzerato.
Tutto lo stress scontato dal mercato però, ha inevitabilmente prodotto delle tensioni che hanno contribuito a minare la fiducia che aveva caratterizzato invece l’ultimo periodo.
Il fork di bitcoin cash
Da molti è stato considerato il trigger event che ha determinato il crollo delle quotazioni di tutto il mercato delle criptovalute.
Sicuramente l’hash war a cui abbiamo assistito nelle scorse settimane è stata uno spettacolo poco edificante, che apre le porte a tutta una serie di considerazioni su una reale e poco rassicurante concentrazione di potere nelle mani delle società di mining.
Credo infatti che tutti gli eventi e le contraddizioni emerse dell’hard fork di Bch abbiano contribuito ad acuire le tensioni nel mercato, già provato dal tether affaire.
Inoltre la paura che in un prossimo futuro si possano verificare degli hard fork anche su altre blockchain che al momento sono rimaste indenni da tali problematiche, ha finito per destabilizzare ulteriormente l’ambiente.
Consideriamo come gli hard fork rappresentino anche la causa di una possibile perdita improvvisa non preventivabile in fase di due diligence e di programmazione di un investimento, e questo chiaramente spaventa gli investitori.
A questo punto è chiaro come anche l’hard fork di bitcoin cash si sia inserito in un contesto già fortemente permeato da paura, dubbio e incertezza.
La faida dei miners
Attualmente è in atto una vera e propria faida tra le grandi società di mining, tesa a ottenere il monopolio su quello che rappresenta uno dei business più redditizi nel panorama delle valute digitali.
Minare bitcoin può essere profittevole fino a una determinata soglia di prezzo e una delle variabili che determinano l’andamento dei guadagni è il costo dell’energia elettrica.
In tale ambito, chi volesse crearsi una posizione dominante nel mercato, non dovrebbe far altro che provocare un repentino calo delle quotazioni e operare in perdita per un arco temporale prestabilito.
In questo modo tutti i miners entrati da poco nel business o che non sono riusciti ad aggiornare i propri hardware per tutta una serie di ragioni, si troveranno in una condizione di svantaggio e di grande difficoltà e ragionevolmente saranno costretti ad abbandonare il mercato.
Le stesse dinamiche che hanno visto negli scorsi anni le multinazionali della grande distribuzione massacrare letteralmente la concorrenza, grazie a una politica di sottocosto che ha portato le stesse grandi catene a operare in perdita, fino alla progressiva chiusura di tutti i competitors della zona.
A tal proposito, la scorsa settimana il Ceo di F2 Pool, mining pool cinese, ha stimato che circa 600 mila miners hanno cessato le proprie attività dopo il crollo del bitcoin di metà novembre.
Questo si evince chiaramente dal progressivo e costante calo della “difficoltà” nel mining del bitcoin.
L’algoritmo che regola la difficoltà di hashing del bitcoin normalmente viene settato ogni due settimane, per mantenere il tempo medio necessario alla validazione di un blocco nei 10 minuti.
Come si evince dal grafico, dal pesante drop del bitcoin di metà novembre, la difficoltà nel mining del bitcoin è in continua diminuzione.
Questo improvviso calo, ci conferma proprio come molti miners abbiano semplicemente abbandonato l’attività.
Alla luce di questi elementi di considerazione, il bitcoin potrebbe entrare in una lunga fase di ranging market necessaria a stabilizzare il mercato, espellere i miners non attrezzati a questa eventualità e, come dicevamo in precedenza, favorire l’ingresso degli operatori istituzionali e grandi investitori a condizioni decisamente più vantaggiose rispetto a un mese fa.
Bitcoin whales
Quasi la metà dei bitcoin in circolazione (consideriamo che dei 17.408.375 attualmente disponibili, circa 5 milioni sono andati perduti a causa dello smarrimento delle chiavi private) sono concentrati nelle mani di un migliaio di persone o fondi d’investimento.
I proprietari di questi wallet da migliaia di pezzi (per un controvalore di centinaia di milioni di dollari), nell’ambiente sono definiti balene.
La fase depressiva delle quotazioni del bitcoin e delle principali criptovalute iniziata a giugno, preceduta della bull run di aprile e inizio maggio con il bitcoin che ha toccato quota $ 10000, potrebbe essere una diretta conseguenza delle azioni di queste balene.
Ricordiamo come il 12 aprile 2018 si sia verificato un imponente short squeeze che ha causato un crollo dei contratti di vendita allo scoperto su bitfinex (uno dei principali exchange del mercato cripto) passati da 40000 a 23000 nel giro di qualche ora, con conseguente liquidazione forzata di molte posizioni e buy back del bitcoin. Ovviamente tali ricoperture hanno alimentato quella che è stata una salita vertiginosa delle quotazione, che ha fatto registrare un +18% nel giro di qualche ora.
Questa, come altre dinamiche simili che hanno causato invece dei severi cali del prezzo, sono verosimilmente delle manovre propiziate dalle cosiddette balene allo scopo di speculare sull’inesperienza e a estromettere dal mercato la “stupid money” degli investitori retailers dell’ultimo momento, che hanno iniziato a operare nel settore delle valute digitali esclusivamente sull’onda della ribalta mediatica raggiunta nel 2018 dal bitcoin, ottenendo anche l’effetto secondario di accrescere ulteriormente la concentrazione di bitcoin in loro possesso.
La presenza di queste bitcoin whales dunque, in grado di provocare improvvisi e incisivi movimenti di mercato, sta mettendo molta pressione agli investitori retailers e contribuisce ad aumentare la diffidenza degli investitori istituzionali, alimentando così un’atmosfera caratterizzata da dubbio e incertezza.
Alla luce degli elementi analizzati nel corso dell’analisi, la situazione del bitcoin nel breve termine è caratterizzata da profonda instabilità e oggettivamente è quasi impossibile prevedere quale sarà l’andamento delle quotazioni nei prossimi giorni.
Certo è che se i ribassisti continueranno ad avere il pieno controllo delle operazioni, per i tori sarà durissima difendere l’attuale support zone nell’area di prezzo 3600/3700 e non è da escludere che successivi test del livello porteranno a un suo cedimento, aprendo la strada verso il prossimo supporto chiave in zona $ 3000.