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Trump ha altre cartucce da sparare sul petrolio? L’oro tornerà a 1.300?

Pubblicato 29.04.2019, 15:21
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La settimana scorsa avevamo previsto che Donald Trump avrebbe attinto alla sua verve creativa per interferire sui prezzi del petrolio se l’Arabia Saudita non avesse alzato i prezzi velocemente per ricambiare il gesto di cercare di riportare le esportazioni iraniane e zero. Venerdì il presidente ha fatto avverare le nostre previsioni, raccontando una storiella ai mercati per interferire sul prezzo del petrolio.

Trump ha annunciato di aver “chiesto” all’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio di abbassare i prezzi della benzina e ha affermato che i prezzi stavano già scendendo. Nessuna delle due affermazioni era vera, per ovvie ragioni. I prezzi alla colonnina negli USA sono determinati dalla domanda, dalle scorte e dai margini, oltre che dal greggio fornito sia dai produttori OPEC che da quelli locali.

E quando Trump ha parlato venerdì mattina, l’azienda petrolifera AAA stava ancora riportando un aumento del 27% dei prezzi alla colonnina su base annua. Inoltre, prima della fine della seduta, il Segretario Generale dell’OPEC, Mohammed Barkindo ha smentito di aver parlato con il presidente USA.

Tuttavia, la storiella di Trump ha fatto bloccare l’impennata del greggio, portando ad un inaspettato calo giornaliero del 3%. Il calo è continuato nella seduta asiatica di lunedì, e la banca ANZ ha interpretato il significato delle parole di Trump in “ha parlato con l’Arabia Saudita per limitare l’impatto del calo delle esportazioni iraniane, facendo aumentare i flussi altrove”.

WTI Daily Chart - Powered by TradingView

Ai Presidenti raramente va così bene con le banche legate al settore dell’energia. È anche difficile da capire quanti trader abbiano davvero creduto a Trump venerdì, e quanti invece cercavano solo la scusa per trarre profitto da una mostruosa impennata durata sette giorni. Sebbene lontano dal massimo di quasi sei mesi di 65 dollari al barile della scorsa settimana, il greggio West Texas Intermediate è salito del 39% su base annua. Il Brent di Londra mostra un aumento del 33% nonostante il calo dal picco della settimana scorsa di 75 dollari, un valore che non si toccava da ottobre.

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Paura di altre sorprese da Trump

La paura che Trump faccia altre cose inaspettate - come la decisione della scorsa settimana di cancellare le esenzioni agli acquirenti di petrolio iraniano - sembra lecita quanto la paura che i prezzi possano salire ancora, vista l’apparente riluttanza dell’Arabia Saudita ad aumentare la produzione per rimpiazzare i barili persi dall’Iran.

I tori del petrolio potrebbero avere buoni motivi per temere Trump: è stato il Presidente a far salire il greggio WTI a 65 dollari e quello Brent a 75 con il rinnovato impegno di tagliare l’Iran fuori dal mercato. Nessuno si è scordato che è stato lui ad architettare il crollo dei prezzi del 40% nell’ultimo trimestre del 2018 prendendo in giro Sauditi e resto dell’OPEC, prima aumentando la produzione e poi togliendo le sanzioni agli importatori di greggio iraniano.

Senza considerare le sanzioni USA sul petrolio del Venezuela e i cali della produzione in Libia e Angola, secondo alcuni il mercato è sovra comprato e necessita una correzione. La paura sulle “cartucce” che Trump ha ancora da sparare è legata al fatto che un aumento dei prezzi della benzina sarebbe un fattore negativo in vista della campagna elettorale del 2020.

E anche in Sauditi potrebbero aiutare sotto sotto il presidente

E sebbene i Sauditi abbiano pubblicamente ignorato la richiesta di più petrolio da Trump, sotto sotto potrebbero lavorare sull’aumento della produzione.

La Energy Intelligence di New York ha osservato nella nota settimanale di venerdì che l’Arabia Saudita vuole preservare l’alleanza OPEC/non-OPEC che ha cercato di creare nel 2016 come strumento per stabilizzare i mercati, “almeno superficialmente”.

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“Ma alcuni cambiamenti sembrano inevitabili con i prezzi che salgono e le interruzioni alla produzione che aumentano”.

“Finora i segnali hanno indicato che la produzione Saudita salirà sopra i 10 milioni di barili al giorno a maggio, ma gli aumenti saranno diretti a soddisfare la domanda stagionale piuttosto che a inondare i mercati prima che si inizi a richiedere a gran voce un aumento della produzione”.

Intanto la Russia ha detto alla Cina - palesemente indispettita dalla decisione degli USA di bloccarle l’acquisto di petrolio relativamente economico dall’Iran - di avere una capacità produttiva extra per soddisfare Pechino. La maggior parte dei tagli di quest’anno sono dovuti all’Arabia Saudita e alla Russia, alleato non OPEC.

Edward Moya, analista senior di OANDA, è stato citato da Reuters per aver dichiarato che la Russia

“sembra avere tutte le ragioni per riportare i livelli di produzione e la cosa potrebbe iniziare quando non vedremo più OPEC+ non OPEC accordarsi per estendere i tagli alla produzione, per coprire il calo della produzione dall’Iran”.

Oro di nuovo a 1.300 dollari ?

L’oro potrebbe avere la possibilità di toccare nuovamente quota 1.300 dollari questa settimana se il dollaro dovesse scendere dopo l’eventuale decisione della Federal Reserve di non alzare i tassi di interesse e attenersi alla posizione cauta adottata dall’inizio dell’anno.

Il rimbalzo di venerdì dell’oro spot e dei future dell’oro ha mantenuto la promessa ai trader lunghi sul metallo prezioso, in quanto è giunto dopo i dati trimestrali positivi sul PIL USA, che potrebbero innescare un’impennata dollaro-titoli azionari.

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Gold Daily Chart - Powered by TradingView

Sebbene l’oro sia sceso più del 4% dal picco di febbraio, la ripresa del metallo prezioso dal minimo di quattro mesi della settimana scorsa ha dipinto un quadro neutro sui grafici tecnici, come ha dichiarato venerdì l’analista tecnico di Reuters Wang Tao.

Goldman Sachs ha dichiarato che gli acquisti di oro della banca centrale sono stati massicci, un altro fattore che potrebbe riportare il metallo prezioso ai livelli di 1.300 dollari.

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