Investing.com - Il prezzo del greggio inizia la settimana al rialzo questo mercoledì, sulla scia della notizia che le truppe irachene si sono scontrate con le forze armate curde vicino Kirkuk, alimentando i timori per le possibili interruzioni della produzione nella regione.
Nella zona si trovano alcuni dei principali giacimenti petroliferi iracheni. L’Iraq è il secondo produttore di greggio dell’Organizzazione dei Paesi Esportatori di petrolio (OPEC), dopo l’Arabia Saudita.
Lo scontro segue il referendum con cui i curdi, che sono al comando della loro regione semi-autonoma nel nord dell’Iraq, hanno votato a larga maggioranza a favore dell’indipendenza, sfidando Baghdad, i poteri regionali e gli Stati Uniti.
Il prezzo ha trovato ulteriore supporto nei timori che gli Stati Uniti possano sanzionare ancora l’Iran in seguito alla decisione del governo Trump di non certificare che Tehran sta tenendo fede all’accordo sul nucleare del 2015.
Il Congresso avrà ora 60 giorni di tempo per decidere se imporre nuovamente delle sanzioni economiche a Tehran. La nazione persiana è un membro dell’OPEC ed uno dei principali produttori di greggio mediorientali.
Durante il precedente round di sanzioni contro l’Iran, sono stati tolti dal mercato globale circa un milione di barili al giorno di scorte di greggio.
I future del greggio Brent, il riferimento per il prezzo della materia prima al di fuori degli Stati Uniti, salgono al massimo intraday di 57,90 dollari al barile, il massimo dal 28 settembre, prima di staccarsi e attestarsi a 57,84 dollari alle 3:00 ET (07:00 GMT), con un balzo di 67 centesimi, o dell’1,2%.
Il riferimento globale ha chiuso la settimana scorsa con un’impennata di circa il 2,8%, l’aumento percentuale settimanale maggiore dalla settimana terminata il 15 settembre.
I future del greggio West Texas Intermediate (WTI) schizzano di 52 centesimi, o dell’1%, a 51,97 dollari al barile, il massimo di oltre due settimane.
Il prezzo del WTI ha visto un’impennata di quasi il 4,4% la scorsa settimana, il massimo di un mese.
Nonostante i segnali rialzisti, gli analisti avvertono che l’Organizzazione dei Paesi Esportatori di petrolio dovrà prorogare l’accordo sulla riduzione della produzione oltre la data di scadenza del marzo 2018 per far tornare il mercato in equilibrio.
L’accordo originale, siglato quasi un anno fa dall’OPEC e da altri 10 produttori non-OPEC con a capo la Russia, prevede un taglio della produzione di 1,8 milioni di barili al giorno per sei mesi. Il patto è stato prorogato nel maggio di quest’anno per un periodo di nove mesi fino al marzo del 2018 nel tentativo di ridimensionare le scorte di greggio globali in eccesso e supportare il prezzo.
Questa settimana l’attenzione degli operatori sarà concentrata sui dati USA sulle scorte di greggio e prodotti raffinati, attesi domani e mercoledì, per valutare la forza della domanda da parte del principale consumatore mondiale.