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Medioriente infiamma il petrolio. Gestori: “Niente rischio inflazione, per ora"

Pubblicato 19.10.2023, 07:16
© Reuters.
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di Chiara Santilli

Quotazioni del Future Petrolio Greggio WTI in ascesa dopo l’escalation tra Israele e Hamas. Sui prezzi pesano anche le scorte Usa e la timida ripresa cinese. Gli asset manager escludono ripercussioni sulla traiettoria del carovita. Ma a patto che Iran ed Hezbollah restino fuori dal conflitto

Dopo l’esplosione dell’ospedale di Gaza, il petrolio torna di prepotenza sotto la lente degli investitori. Nel giorno in cui il presidente americano Joe Biden ha visitato Israele, il timore che le tensioni tra lo Stato ebraico e Hamas possano bloccare le forniture di oro nero ha infatti spinto sia il Brent che il Wti sui massimi da due settimane. Per gli asset manager, anche altri fattori sostengono i corsi del greggio, ma rischi di un ritorno dell’inflazione o implicazioni sulla crescita vanno esclusi. Purché il conflitto non finisca per coinvolgere Iran ed Hezbollah

Anche scorte Usa e Cina sostengono il petrolio

Non solo un conflitto prolungato tra Israele e Hamas, che rischia di spingere i futures del Brent oltre quota cento dollari facendo aumentare le probabilità di un coinvolgimento iraniano nella disputa. A sostenere le quotazioni, secondo i gestori, ci sono anche altri due fattori: il calo delle scorte statunitensi e il Pil oltre le attese della Cina. Le riserve di greggio americane sono infatti diminuite di 4,4 milioni di barili nella settimana al 13 ottobre, decisamente dei 300mila barili messi in conto dagli esperti, mentre il prodotto interno lordo di Pechino ha inviato inaspettati segnali di ripresa. Grazie agli stimoli del governo, il dato del terzo trimestre è aumentato del 4,9%, più dell’atteso 4,4%, rendendo plausibile l’obiettivo di una crescita del 5% per il 2023. Una cifra che fa il paio con l'output industriale di settembre, salito del 4,5% (4,3% il consensus), e con le vendite al dettaglio, cresciute del 5,5% contro una previsione di +4,9%.

Niente rischio per l’inflazione. Per ora …

Anche se il petrolio torna tra i sorvegliati speciali, i gestori sono convinti che non sia ancora il momento di allarmarsi. O, per meglio dire, la minaccia immediata di un aumento dell'inflazione complessiva a causa del rincaro dell'energia c’è ma al momento non va sopravvalutata eccessivamente. A sottolinearlo è anzitutto David Rees, senior emerging markets economist di Schroders (LON:SDR). “Questa componente rappresenta solo l'1,7% dell'indice dei prezzi al consumo core, a dimostrare come l’impatto diretto di un aumento del barile sul carovita sottostante sia più contenuto delle attese”.

Per Flora Dishnica, investment manager di Pictet Am, l’andamento delle quotazioni desta invece maggiore preoccupazione in merito ai prezzi. Anche oggi. “L'accelerazione degli ultimi mesi è stata prevalentemente guidata dall’offerta, con considerazioni di natura geopolitica che sembravano in via di indirizzamento tra Usa e Arabia Saudita. Dati gli ultimi sviluppi del Medio Oriente, questo aspetto potrebbe infastidire ulteriormente il mercato”, avverte. Ecco perchè, a suo parere, le valutazioni dell’obbligazionario risultano molto interessanti, “soprattutto dopo un movimento alquanto esagerato, in termini reali, a livelli veramente lontani da qualsiasi stima mai elaborata da fonti ufficiali o dal mercato”. Tutte considerazioni che, rimarca, rendono l’asset class “un valido alleato per navigare i mesi finali dell’anno”.

Per François Rimeu, strategist di La Française Am, l’impennata del barile non è invece una buona notizia per la crescita globale. E renderà anche più difficile la traiettoria dell'inflazione a breve termine, “con la fine degli effetti base negativi e potenziali effetti di secondo livello che rimangono difficili da prevedere”, precisa. “I rincari di dollaro e del petrolio amplificano ulteriormente le attuali incertezze sul ritorno dei prezzi agli obiettivi delle banche centrali”, spiega l'esperto. Che predica “cautela generale”.

Dal punto di vista degli investimenti, Norman Villamin ritiene che gli investitori debbano considerare due elementi per valutare il rischio di un nuovo shock energetico: il coinvolgimento dell'Iran nella pianificazione e preparazione degli attacchi oppure il tentativo di Hezbollah, sostenuto da Teheran, di aprire un secondo fronte. Questo, secondo il cio di Ubp, comporterebbe infatti nuove restrizioni da parte di Washington all'export di petrolio iraniano e la riluttanza dell'Arabia Saudita a sostituirne l'offerta sui mercati mondiali. “Per gli investitori che cercano di gestire in modo proattivo questi potenziali esiti, le posizioni di liquidità in dollari ad alto rendimento e le allocazioni in oro esistenti dovrebbero fornire protezione nel caso di uno scenario da shock petrolifero. Nell'azionario, un relativo riparo potrebbe venire dai titoli energetici”, conclude quindi l’esperto.

Per ulteriori approfondimenti: FocusRisparmio - FR|Vision

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