La remunerazione derivante dall’attività di staking di crypto produce reddito di capitale ai sensi dell’art. 44 del TUIR. È quanto emerge da un recente interpello (n.956-771/2022) nel quale l’Agenzia delle Entrate risponde al quesito di una start-up umbra. Si tratta dell’ennesimo tassello del mosaico interpretativo della fiscalità della criptovalute, che in questo caso colpisce le attività di staking. Partiamo però dal principio, cos'è lo staking?
In cosa consiste lo staking di crypto? Lo staking di crypto permette di guadagnare un premio pari a un tasso percentuale calcolato sull’ammontare messo in stake. In pratica il meccanismo ricorda un conto di risparmio che frutta interessi. Come fanno le criptovalute a rendere un interesse? La rendita potenzialmente ottenibile dallo staking di crypto è permessa dalla blockchain, che letteralmente “le mette al lavoro”. In poche parole, questo è il metodo usato per garantire che tutte le transazioni siano verificate e sicure senza la necessità di una banca o di un altro intermediario (fonte: Coinbase (NASDAQ:COIN)).
Nell’interpello citato, la start-up considerava lo staking di crypto come una forma di remunerazione per l’esecuzione delle operazioni di validazione necessarie per la generazione di nuovi blocchi sulla blockchain. Il ragionamento esposto dal contribuente all’interno dell’interpello portava alla qualificazione delle rendite da staking crypto come “redditi diversi” ai sensi dell’art. 67 del TUIR, soprattutto in considerazione del fatto che la natura dell’attività è connessa a rischi informatici piuttosto che finanziari.
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![Staking crypto tassato come reddito di capitale: il parere dell’Agenzia delle Entrate](https://d9-invdn-com.investing.com/content/pic5ac8d7a8e6c86c3597f73fda4ec6aafc.jpeg)