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Biden, l’OPEC e l’azzardo del greggio

Pubblicato 09.11.2021, 20:10
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Di Geoffrey Smith

Investing.com - Quando delle scorte carenti si scontrano con un’impennata della domanda, c’è poco che possano fare i policymaker, per quanto coerenti.

Sfortunatamente per l’economia globale, il mercato petrolifero non ha nemmeno la consolazione di una politica coerente al momento.

Da una parte, ci sono l’Organizzazione dei Paesi Esportatori di petrolio ed i suoi alleati, soprattutto la Russia. Questo gruppo, che controlla circa il 40% delle scorte petrolifere globali ed ha l’unica capacità di scorte significativa che può essere resa disponibile o meno con facilità, ha promesso di aumentare la produzione di 400.000 barili al giorno ogni mese fino a quando non avrà annullato tutte le riduzioni adottate all’inizio della pandemia per mantenere in equilibrio il mercato.

Sfortunatamente, non lo sta facendo. La poca disciplina in passato, corruzione ed una governance sconvolgentemente debole hanno reso molti dei suoi membri incapaci di produrre. Secondo Petroleum Argus, il blocco è riuscito ad aumentarla solo di 230.000 barili al giorno ad aprile. L’incapacità di tenere fede agli aumenti previsti nei mesi precedenti implica che al momento sta pompando 690.000 barili al giorno in meno rispetto a quanti ne aveva promessi.

Di conseguenza, l’accordo sulla condivisione della produzione tra i principali esportatori mondiali sembra, sempre più, meno adatto al suo scopo. E con i prezzi ad un livello che ricompenserebbero l’annullamento delle quote, la pretesa di una collaborazione probabilmente andrà sotto pressione da qui in poi.

Dall’altra parte del tavolo ci sono i maggiori consumatori mondiali, troppo spaventati di cancellare lo stimolo senza precedenti che si sono affrettati ad offrire nei primi giorni della pandemia. Con l’economia statunitense che ha superato una debolezza estiva dovuta alla variante Delta del Covid-19, il mondo sta vedendo un incredibile boom, soprattutto per i prodotti che hanno bisogno di energia per essere fabbricati e spediti.

La Cina, che rappresenta il 30% della produzione mondiale, ha affermato che le sue esportazioni sono aumentate di un quarto su base annua a settembre, con le aziende statunitensi ed europee che si sono affrettate a fare scorta di beni di consumo per il periodo natalizio. I viaggi aerei continuano a vedere una ripresa (gli USA hanno riaperto le porte ai viaggiatori transatlantici questa settimana). Tenuto conto di questi fattori, BP (LON:BP) (NYSE:BP) stima che la domanda globale sia già tornata ad oltre 100 milioni di barili al giorno.

Il che rende ancor più sconcertante la confusione dei policymaker negli USA. Il Presidente Joe Biden non è intenzionato ad incoraggiare la produzione di greggio e gas negli Stati Uniti, per via della sua agenda verde. Non gli resta altra scelta che fare appello all’OPEC ed alla Russia perché producano di più, con risultati prevedibili.

L’agenda di Biden inevitabilmente renderà più difficile all’industria petrolifera statunitense ricoprire quel ruolo che ha avuto negli ultimi 15 anni, aumentando anche la produzione per soddisfare una domanda globale crescente. Gli ambientalisti direbbero che in fondo è proprio questo il punto. Ma la conseguente incertezza regolatoria (e in alcuni casi, le pressioni degli azionisti) impediranno ai produttori sia di greggio che di gas di investire sulla produzione futura, e convinceranno anche Wall Street a non dare loro i soldi per farlo, soprattutto dopo la carneficina del mercato dei bond dello scorso anno.

Dunque, nonostante i prezzi siano saliti a quasi 85 dollari al barile questo mese, i produttori statunitensi non stanno producendo neanche una goccia in più rispetto a marzo. Il fatto che le scorte siano meno elastiche della domanda è sempre stato un problema per i mercati mondiali, ma il punto viene particolarmente rimarcato ora.

Alla fine, come sempre, dei prezzi più alti saranno la cura dei prezzi alti. La domanda sarà distrutta e la sostituzione con fonti di energia alternativa accelererà. Tuttavia, sul breve termine sembra esserci poco in grado di impedire ai prezzi di salire ancora. Russel Hardy, amministratore delegato del più grande trader petrolifero al mondo Vitol, ha affermato durante una conferenza del settore martedì che 100 dollari al barile sono “certamente una possibilità”. Il Presidente russo Vladimir Putin ha detto più o meno lo stesso il mese scorso. Ci vuole coraggio per scommettere il contrario.

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