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Politica monetaria: passo a due per Fed e Bce

Pubblicato 28.06.2023, 10:27
© Reuters.

Di Alessandro Albano di Investing.com e Rosaria Barrile di Investiremag.it

Il 16 marzo 2022 la Fed ha avviato la sua politica monetaria restrittiva. La Banca centrale europea ha avviato la propria due mesi dopo. Da allora la Fed ha alzato i tassi per nove volte, con la Bce che copiava il comportamento della Banca statunitense: la Fed alzava di 75 punti e la riunione successiva la Bce la imitava.

Questo mese, per la prima volta, la Fed si è presa un mese di pausa mentre la Bce ha aumentato il tasso di riferimento, annunciando possibili ulteriori aumenti. Cosa è successo? Investing e Investiremag lo hanno chiesto ad alcuni esperti che hanno cercato di formulare anche alcune ipotesi circa l’eventuale evoluzione delle politiche monetarie.

L’impatto sull’inflazione “core”

“È bene sottolineare che il giorno prima della decisione della Fed era uscito il dato dell’inflazione americana, scesa quasi di un punto percentuale dal 4,9 al 4 per cento. In tali circostanze diventava ostico per la Fed accanirsi sulla restrittiva”, sottolinea Lucio Poma, capo economista di Nomisma. “All’opposto, l’inflazione dell’Area Euro resta elevata al 6,1% e Christine Lagarde ha annunciato che il contesto europeo, in particolare la questione salariale, eserciterà pressioni sull’inflazione, prospettando ulteriori possibili aumenti del tasso d’interesse.

Lucio Poma ha invita però a soffermarsi su due punti: “Anzitutto, colpisce l’ostinato incedere di entrambe le banche centrali, la cui unica risposta all’inflazione è un aumento del tasso d’interesse. Poco ci si interroga sull’efficacia (o meglio inefficacia) della politica monetaria restrittiva: in entrambi i casi l’inflazione core risulta immune alle politiche monetarie. Negli Stati Uniti a fronte di un’inflazione totale del 4%, l’inflazione core è ancora alta al 5,3%. È la componente volatile dell’inflazione (beni energetici) a fare scendere l’inflazione totale. Non dissimile il caso dell’Area Euro dove con un’inflazione totale al 6,1% quella core è al 5,3%. Infine, si ragiona come se inflazione e tassi d’interesse fossero sotto una campana di vetro, dimentichi degli effetti devastanti sui mercati finanziari: dalla crisi della Silicon Valley Bank, alla crescita dei costi dei mutui che mettono a repentaglio la capacità delle famiglie di sostenerli”.

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Tassi: banche centrali alla ricerca del giusto equilibrio

Ma quanto potranno spingersi in avanti le banche centrali nell’aumentare i tassi?

Per Ana Boata, head of Economic Research at Allianz (ETR:ALVG) Trade, "la previsioni dicono che il picco dei tassi non sia stato raggiunto - succederà nella seconda metà dell’anno - ma è chiaro che sia la Fed sia la Bce devono trovare il giusto equilibrio tra la necessità di rallentare significativamente l’aumento dei prezzi e quella di
non provocare una brusca frenata nella crescita del Pil delle economie avanzate, aumentando ancora il costo del denaro. La fase che si sta aprendo è un test fondamentale per confermare la loro indipendenza dalla politica. La Fed, ancora preoccupata per la stabilità finanziaria del settore bancario, continuerà con tutta probabilità la sua politica restrittiva con due ulteriori aumenti di 25 punti base fino a che il tasso interbancario raggiunga il 5,75%.

L’inflazione “core", depurata dai prezzi dell’energia e delle componenti più volatili, dovrebbe scendere intorno al 4%, dall’attuale 5,3%. A quel punto la Fed potrà decidere di allentare questa politica a partire dal 2024. In Europa, dopo l’aumento di 25 punti base deciso nell’ultima riunione del Consiglio direttivo della Bce, si prevedono altri due aumenti analoghi tra luglio e settembre per normalizzare l’inflazione ancora al 6,1%, sebbene sia calata più delle iniziali aspettative degli analisti”.

Al contempo, il rallentamento della produzione industriale in Germania ad aprile - conclude Boata - e gli investimenti delle imprese nell’Eurozona in contrazione suggeriscono però che la Bce non possa spingersi troppo oltre nell’aumento dei tassi".

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Antonella Manganelli, ad e responsabile investimenti di Payden & Rygel Italia fa un passo indietro nel valutare il disaccoppiamento temporaneo tra politiche della Bce e della Fed.

“La crisi bancaria di marzo 2023 aveva portato una forte inversione nelle attese degli investitori sulla performance comparativa dell’economia statunitense rispetto a quella dell’Eurozona. Si temeva che un restringimento repentino della liquidità dato dalla minore capacità o volontà delle banche locali di immettere denari nel sistema finisse per esacerbare gli effetti della politica monetaria rapidamente restrittiva implementata dalla Federal Reserve. Ad oggi, la situazione sembra essersi ribaltata ancora. I numeri sull’economia statunitense hanno sorpreso le attese quanto a resilienza; d’altro canto, le aspettative sull’Europa non hanno retto il confronto con i dati macroeconomici effettivamente pubblicati”.

Parte della ragione di questo rallentamento europeo starebbe secondo Manganelli in un rallentamento globale del settore manufatturiero, così portante per l’economia dell’EU. Un’altra ragione può inoltre trovarsi nel tanto atteso rimbalzo cinese, risultato meno energico del previsto.

Inflazione ancora tenace

I dati relativi all’inflazione, seppur in rallentamento, restano elevati in termini assoluti. Secondo Manganelli non si tratta necessariamente di una questione di meccanismo di trasmissione, nonostante il mercato europeo sia certamente più frammentato rispetto a quello US: “Da questo punto di vista anzi è importante
ricordare come anche negli Stati Uniti fosse stato registrato un dato di notevole flessione dell’inflazione, poi invertito. Crediamo insomma che l’inflazione sia risultata più tenace del previsto in molti dei Paesi sviluppati, e che sia la Fed che la Bce non possano in questo momento escludere ulteriori mosse rialziste.

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Per quanto riguarda le prospettive a breve termine, “La banca centrale statunitense si era avviata prima e con più aggressività nel suo percorso, per cui ha ora sì implementato una pausa, ma non si esclude un ulteriore rialzo a luglio, se i dati lo dovessero richiedere. Christine Lagarde ha invece reso abbastanza esplicito il rialzo di luglio, a meno che non si verifichi un cambiamento sostanziale del quadro macro, dopo di che ha indicato che le mosse successive dipenderanno anche qui dai dati. Si può quindi dedurre che in questo momento la Bce non voglia contraddire l’aspettativa del mercato su un tasso terminale del 3,75-4%.

Ci sarà poi da discutere su dimensione del bilancio e PEPP; pensiamo questo possa diventare argomento di conversazione una volta raggiunto il tasso terminale”.

Divergenza sì, ma a breve termine

Per Antonio Tognoli, responsabile macro analisi di CFO SIM ad accomunare Fed e Bce è l’aver ribadito la centralità del dato nel determinare la politica monetaria.

“Le decisioni della Fed e della Bce indicano quindi una divergenza a breve termine. Del resto, la Lagarde ha ridotto le stime di crescita del PIL e aumentato quelle dell’inflazione, esattamente il contrario di quello che ha fatto invece Powell. Con 500 bp di rialzi complessivi, la Fed ha cominciato ad alzare i tassi nel marzo dello scorso anno, mentre con 400 bp in tutto la Bce ha iniziato quattro mesi dopo a fine luglio. In condizioni normali, gli effetti della politica monetaria richiedono tra i 4 e i 6 mesi prima di essere visibili. Ma le condizioni prima degli aumenti non erano normali, per tre motivi. Il primo, l’enorme massa di liquidità creata e sostenuta dalle banche centrali, il secondo l’enorme risparmio cumulatosi durante la pandemia e last but not least, i tassi reali tenuti artificiosamente negativi a lungo. Questo mix ha fatto da freno agli effetti che la politica monetaria restrittiva ha esercitato sulla domanda aggregata, allungandone di almeno 6-8 mesi la visibilità degli effetti”.

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Bce verso una strategia “ibrida”

Secondo Tognoli, la divergenza tra le politiche monetare potrebbe generare nel breve periodo interessanti occasioni di investimento.

“Gli investitori però non dovrebbero aspettarsi che queste rimangano divergenti a lungo. La domanda diventa quindi quando la Bce si fermerà ad aspettare che i rialzi dei tassi fatti facciano il loro lavoro. Continuare infatti con gli aumenti dei tassi fino a quando l'inflazione effettiva non sarà tornata al 2% non ci sembra certo una strada percorribile. I dati economici suggeriscono che la traiettoria dell'area dell'euro è indietro di qualche mese rispetto agli USA, che hanno già visto la politica monetaria
restrittiva iniziare a trasmettersi all'economia reale.

E’ probabile che la Bce segua una strategia ibrida per tenere sotto controllo gli sviluppi dell'inflazione a lungo termine, in attesa che soprattutto quella core
scenda in modo strutturale. Per raggiungere questo obiettivo, è probabile che la Bce aumenti i tassi di interesse almeno ancora una volta prima di entrare in modalità “wait and see”.

Chiaramente questo in assenza di perturbazioni esterne che possano mettere a rischio la stabilità finanziaria dell’intera Unione Europea. Siamo convinti infatti che a cavallo tra la fine dell'estate e l’inizio dell’autunno, entrambe le banche centrali saranno in attesa. Quindi l'attenzione si concentrerà probabilmente su quando inizieranno i tagli dei tassi”.

Ultimi commenti

👍
Mi sembra di rivedere Bernanke-Tricher…. La “coppia vincente”! Loro riuscirono ad azzerare l’inflazione per circa 15 anni…. Ricordate?
C.R.I.M.I.N.A.L.I
Articoli farciti di teoria completamente dissonante con la realtà. Sebbene l'inflazione registri un rallentamento, po sia vero il dato del 5,3%, il consumatore subisce rincari pari alla sommatoria dei vari balzi inflattivi registrati nel biennio in cui hanno iniziato a salire, ovvero un aumento medio dei prezzi intorno al 25%. Considerando che le economie sviluppate producono buona parte del Pil a debito la dose si rincara con l'aumento dei costi sul prestito. Con questi fardelli sarà piuttosto improbabile non registrare flessioni corpose della crescita, tuttavia la narrazione economica è di tutt'altro tenore.
Questo è il motivo principale per cui i mercati sono destinati a crollare tra fine 2023 e inizio 2024
Io dico che questo è il modo per fare una finanziaria occulta nella quale la politica si nasconde bene
La Lagarde va mandata a casa al più presto, richiamate Draghi, perche come economista era molto competente, non come queata befana francese
Se invece che chiedere agli pseudo-esperti, chiedete alla gente comune, otterete risposte sensate e non farcite di inutili filippiche.
Scusate, sbagliato forum, chiedo venia :)
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