Investing.com -- Il dollaro corre sulla scia dell’aumento dei rendimenti dei titoli di stato statunitensi, raggiungendo livelli che non toccava da novembre 2022. Intorno alle 13, l'indice del dollaro Future Indice del Dollaro sfiora quota 105,7 mentre l'euro EUR/USD rimane poco mosso rispetto alla valuta statunitense dall’ultima chiusura a 1,059.
La forza della valuta americana si è fatta sentire in particolare nei confronti dello yen giapponese, con il cambio USD/JPY che ha superato quota 149 per la prima volta dall'ottobre 2022, per poi scendere a 148,95 yen per dollaro. La soglia psicologica indicata dal ministero delle finanze giapponese è 150, oltre la quale la banca centrale potrebbe iniziare la politica di stretta monetaria.
Intanto, la sterlina scende dello 0,20% a 1,22 dollari GBP/USD, dopo che la Banca d'Inghilterra la scorsa settimana ha deciso di mantenere i tassi al 5,25%.
Una corsa che per il biglietto verde sembra destinata proseguire a lungo, almeno fino a quando la Fed manterrà fede alla sua promessa di tenere tassi alti nel lungo periodo. Tuttavia, secondo Michael Langham, Emerging markets analyst di abrdn, nel lungo periodo il superdollaro deve iniziare a guardarsi le spalle da nemici che stanno man mano acquistando quote di mercato.
“La crescente importanza economica dei mercati emergenti, che prevediamo aumenterà dal circa 44% dell’economia mondiale al 56% entro il 2050, aumenta la possibilità per i policymaker dei mercati emergenti di influenzare maggiormente il commercio globale e i flussi finanziari, e la loro potenziale capacità di guidare una tendenza di “dedollarizazione” nel fatturato del commercio globale e nei flussi finanziari più ampi, è considerevole”, spiega Langham.
“Le riserve in valuta estera potrebbero anche riflettere potenzialmente una minore volontà di detenere attività in dollari. La quota del dollaro statunitense nelle riserve ufficiali di cambio è declinata gradualmente, diminuendo di oltre 10 punti percentuali negli ultimi 20 anni”. La tendenza, secondo l’analista è stata in gran parte guidata da una rotazione verso altre valute dei paesi sviluppati, come l’euro, la sterlina britannica, il dollaro canadese e il dollaro australiano. “Anche il renminbi cinese ha incrementato la sua quota, ma partendo da una base molto bassa”, sottolinea l’esperto di abrdn.
Tuttavia, aggiunge, “ci sono limitazioni nel considerare l’ammontare delle riserve in un senso così stretto e nell’estrapolare che ciò comporti una minore esposizione complessiva al dollaro. La crescita dei fondi sovrani e delle banche statali che gestiscono attività estere ha oscurato la vera portata delle riserve dei Paesi e, di conseguenza, è probabile che le riserve in valuta estera sottovalutino l’esposizione complessiva al dollaro. Inoltre, le azioni intraprese dai policymaker statunitensi durante la pandemia, in particolare la Federal Reserve che ha fornito un numero crescente di linee di swap in dollari e creato il programma FIMA Repo facility, hanno probabilmente rafforzato il ruolo del dollaro nel sistema monetario internazionale, anche se l’ammontare in valuta del settore ufficiale è diminuito”.
In ogni caso, attualmente il dollaro rimane la valuta dominante nel mercato dei cambi e nel finanziamento internazionale.
“La sua quota nelle transazioni valutarie over-the-counter è rimasta sorprendentemente stabile, e gli Stati Uniti dominano anche i mercati azionari, rappresentando il 62% dell’indice MSCI All Country e circa una quota simile nell’indice MSCI World. In effetti, i fattori che rafforzano la posizione del dollaro, ovvero l’apertura dei mercati finanziari, la qualità delle istituzioni e il suo consolidato utilizzo come valuta di transazione, sono difficili da replicare e modificare”, ammette Langham che rimane scettico anche per quanto riguarda la nascita dell’euro digitale.
“Siamo ancora lontani dal momento in cui le Cbdc (valute digitali delle banche centrali) saranno in grado di offrire una via per bypassare il sistema basato sul dollaro. E sorgono domande sulla volontà dei mercati emergenti di intraprendere le riforme necessarie per sviluppare la qualità delle istituzioni e la profondità dei mercati finanziari, il che aumenterebbe la loro capacità di assorbire flussi di capitale attraverso canali più tradizionali”.
Tuttavia, osserva “se si facessero progressi su questi fronti, potrebbe aprirsi la strada a qualcosa di simile a un sistema multi-valuta. Le misure attuate dagli Stati Uniti potrebbero portare a un’autodistruzione del dollaro. Un default tecnico - causato dalla mancata rinegoziazione del tetto del debito statunitense - o un significativo deterioramento delle istituzioni statunitensi potrebbero indebolire la posizione del dollaro e permettere ad altre valute di ottenere una posizione più dominante.
Al momento, comunque, l'asticella da superare per minacciare la posizione del dollaro è fissata molto in alto.
“Il dollaro non ha perso il suo valore nonostante una crisi finanziaria globale, diverse polemiche sul tetto del debito, rivolgimenti politici e sociali e la recrudescenza dell’inflazione”, sottolinea l’analista prima di chiosare: “Coloro che si chiedono ogni notte perché il dollaro è così ampiamente utilizzato, probabilmente si faranno questa domanda per molte altre notti a venire”.
Per approfondire, scopri cos'è l'euro digitale.