Investing.com - Il prezzo dell’oro è sceso al minimo di una settimana negli scambi della mattinata statunitense di questo martedì, dopo i dati che hanno mostrato che produttività non agricola è scesa inaspettatamente nel secondo trimestre, mentre il costo unitario della manodopera USA è salito più del previsto nel secondo trimestre.
L’oro con consegna a dicembre sulla divisione Comex del New York Mercantile Exchange scende al minimo della seduta di 1.336,00 dollari l’oncia troy, il minimo dal 29 luglio. Successivamente si è attestato a 1.339,35 alle 12:42GMT, o 8:42AM ET, in calo di 1,95 dollari o dello 0,15%.
Il Dipartimento per il Lavoro USA oggi ha reso noto che la produttività del settore non agricolo è scesa dello 0,5% nel secondo trimestre, deludendo le aspettative di un aumento dello 0,4% e dopo il calo dello 0,6% del primo trimestre.
Secondo il report, inoltre il costo unitario della manodopera USA è aumentato del 2,0% nel trimestre terminato a giugno, al di sopra dell’aumento dell’1,8% previsto.
Ieri l’oro è sceso di 3,10 dollari, o dello 0,23%, dopo che l’ultimo report sull’occupazione USA ha alimentato le aspettative sulla crescita economica e riacceso la speculazione verso un aumento dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve nel corso dell’anno.
I futures del fondi Fed vedono attualmente solo al 50% la probabilità di un aumento dei tassi per dicembre, secondo lo strumento Fed Watch del CME Group (NASDAQ:CME). La scorsa settimana il livello era al 30%. È al 20% la probabilità di un aumento dei tassi per settembre, contro il 10% segnato alla fine della scorsa settimana.
L’oro risente dell’andamento dei tassi USA. Un aumento graduale dei tassi di interesse avrebbe ripercussioni minori per il prezzo dell’oro rispetto ad una serie di aumenti in un breve lasso di tempo.
L’indice del Dollaro USA, che replica l’andamento del biglietto verde contro un paniere di altre sei principali valute, stamane ha toccato 96,40; riprendendosi dai minimi della scorsa settimana sotto il 95,00 grazie alle rinnovate aspettative di un aumento dei tassi USA per la fine dell’anno.
Un dollaro più forte solitamente pesa sull’oro perché fa scendere l’appeal del metallo prezioso come investimento alternativo e rende le materie prime espresse in dollari più costose per i titolari di altre valute.
Il metallo giallo ha subito un’impennata al massimo di oltre due anni di 1.370 dollari meno di una settimana fa, dopo il rilascio di dati deludenti negli USA che avevano spinto gli investitori a ridimensionare le aspettative verso un aumento dei tassi.
Dall’inizio dell’anno il metallo prezioso è salito di quasi il 26%, spinto dai timori sulla crescita globale e dalle aspettative verso aspettative di stimolo monetario.
Sempre sul Comex i futures dell’argento con consegna a settembre sono scesi di 15,7 centesimi, o dello 0,79%, a 19,64 dollari l’oncia troy nella mattinata di New York, mentre i futures del rame con consegna a settembre sono scesi di 1,9 centesimi o dello 0,88% a 2,146 dollari la libbra.
Intanto sui mercati arriva una nuova raffica di dati economici cinesi. Il National Bureau of Statistics ha riportato che l’indice dei prezzi al consumo è salito dell’1,8% a luglio dall’anno precedente, in linea con le previsioni ed in calo dall’1,9% del mese precedete.
Su base annua, l’indice dei prezzi alla produzione è sceso dell’1,7%, contro il calo del 2,6% segnato a giugno.
I dati deboli hanno confermato che c’è ancora margine di intervento sulla politica monetaria.
Col 45% della richiesta globale di rame, la nazione asiatica è considerata il principale consumatore mondiale del metallo rosso.