di Massimo Gaia e Gianluca Semeraro
MILANO (Reuters) - È il party più ricercato del momento, quello a cui non si può mancare. Parliamo delle 'sofferenze', quasi 200 miliardi di valore nominale di crediti inesigibili che pesano sulle banche italiane come macigni, minacciandone in alcuni casi la stessa sopravvivenza e che sempre più operatori vedono come opportunità di business, al punto che già per alcuni segmenti si comincia a parlare di rischio bolla.
Dopo anni di mercato bloccato per differenze incolmabili tra domanda e offerta, nel 2017 sono attese transazioni per circa 70 miliardi di euro, quasi quattro volte rispetto al 2016, secondo le stime dei principali studi sul settore.
A fronte di tanta abbondanza si moltiplicano gli operatori: "C'è grande fervore sulle piattaforme e sui portafogli", spiega un advisor, che preferisce restare anonimo. "Il mercato italiano è sottosviluppato: prima, a parte Italfondiario, c'erano solo realtà famigliari. E c'è la componente moda: tutti comprano piattaforme, chi è rimasto fuori vuole entrare".
Per questo, negli anni scorsi, c'è stato un riassetto importante del mondo delle piattaforme di gestione: il padre di tutti i deal è stata la cessione di Uccmb a Fortress Investments da parte di UniCredit (MI:CRDI) con la nascita di doBank (81 miliardi di npl gestiti), che oggi punta alla Borsa con una capitalizzazione che potrebbe arrivare fino a 800 milioni.
C'è stato, però, chi, come Goldman Sachs, ha forse intuito i rischi del sovraffollamento, e di prezzi di acquisto di conseguenza troppo alti, e ha ceduto l'italiana Archon.
Se la domanda cresce il vantaggio, in teoria, è tutto del venditore. Le ultime gare per cessioni di portafogli di Npl hanno visto partecipare fino a trenta soggetti, variamente abbinati per creare consorzi formati da almeno un investitore e un servicer. Avere una piattaforma, infatti, può fare la differenza perché abbatte i costi di recupero, che, tra visure, notifiche e lavorazione, sono alti.
Per questo motivo "alcuni segmenti sono in bolla piena", secondo Massimo Famularo, partner di Distressed Technologies, adviser nelle operazioni di compravendita di npl. "In Italia il mercato è on/off, e quando è on si rischia la bolla", aggiunge il suo collega Christian Arsenio.
Un punto di vista speculare a quello delle banche, che hanno in carico le sofferenze a un valore medio del 38% sul nominale, e faticano a vendere ai prezzi desiderati.
PER CREDITI CONSUMER UNSECURED PREZZI PAGATI A DOPPIA CIFRA
Ogni segmento ha comunque una storia diversa. I portafogli dei crediti consumer unsecured hanno registrato di recente transazioni con prezzi a doppia cifra (oltre il 10% del nominale), mentre prima la normalità vedeva prezzi a una cifra.
"Vediamo altri player pagare prezzi proibitivi. L'impressione è che i nuovi arrivati esteri paghino una sorta di commissione di ingresso", commenta un operatore del mercato.
Tuttavia "creare valore dagli npl è possibile, con una macchina dedicata e molte risorse e competenze", spiega Andrea Clamer, responsabile dell'area npl di Banca Ifis, che dal 2012 ha raccolto portafogli di crediti consumer unsecured in sofferenza per circa 10 miliardi e ha aumentato i margini dai 15 milioni del 2012 a oltre 150 milioni di euro nel 2016.
Per i servicer una quota consistente dei ricavi arriva dall'attività legale. Ifis ottiene ricavi dalla componente legale attraverso i pignoramenti. "Abbiamo legalizzato 2 miliardi di portafoglio. Ci sono 100.000 file aperti nei tribunali", spiega Clamer.
Ma c'è poi il canale stragiudiziale: "Riusciamo a essere profittevoli grazie alla corretta gestione dei nostri debitori e alla capacità di fare evolvere una posizione npl in re-performing, ovvero riuscendo a trovare soluzioni con i debitori e trasformare molti di loro in pagatori", conclude.
Anche Cerved Legal Services "gestisce gli atti giudiziari, dal pignoramento fino alla procedura concorsuale di bancarotta", dice Marco Nespolo, AD di Cerved Group. "Attualmente abbiamo 65.000 atti di questo tipo in corso. Quando si arriva al ripossessamento del bene si gestisce il remarketing: rivendiamo per conto dei nostri clienti automobili, yacht, macchine industriali e real estate".
BANCHE MENO EFFICIENTI IN RECUPERO CREDITI
La domanda se sia più conveniente per le banche gestire internamente gli npl o venderli a operatori specializzati non ha una risposta univoca. Secondo uno studio di Bankitalia, le banche che hanno gestito internamente gli npl tra il 2006 e il 2015 hanno registrato un tasso di recupero del 43% contro il 23% registrato dalle posizioni cedute sul mercato. Gli operatori del settore, tuttavia, contestano metodologia e parametri adottati.
"Le banche fanno recupero crediti da sempre, conoscono i portafogli e il territorio, ma sono strutturalmente inefficienti a gestire il credito problematico perché devono essere vicine al mercato. Sono molto timide nel recuperare i crediti perché rovina l'immagine", spiega Andrea Giovanelli, partner financial advisory di Deloitte. C'è poi, secondo Giovanelli, un limite legato all'assenza di un sistema di incentivi ai dipendenti, indispensabile nel recupero crediti. Quindi, conclude, "le banche fanno bene a vendere i crediti".
"Il volume degli npl è quasi quintuplicato rispetto ai livelli pre-crisi, ma il sistema bancario, a parte alcune eccezioni, non ha potuto investire in risorse e sistemi nella misura necessaria a gestire internamente il problema degli npl", dice Nespolo, che sottolinea come Credito Valtellinese abbia "quasi raddoppiato i recuperi" grazie alla partnership siglata con Cerved.
I numeri degli operatori specializzati, in verità, sono un po' nebulosi. Unirec, l'associazione delle imprese del settore, stima un'incidenza delle pratiche recuperate su quelle affidate del 34,2%, mentre quella degli importi recuperati è pari all'11,8%. Calcolare una performance annua media, però, è poco significativo: la vita media di un portafoglio è di 5-7 anni.
CREDITO HA VALORE SOCIALE, CHI ACQUISTA PER RILANCIO AZIENDE
Sullo sfondo resta il tema della valenza sociale e non solo economica dell'attività bancaria, concetto caro a Giovanni Bazoli. Dietro un credito in sofferenza, infatti, ci sono (o forse c'erano) un'azienda, un esercizio commerciale, una famiglia.
Sarà interessante, da questo punto di vista, verificare tra qualche anno i risultati ottenuti da quei fondi che rilevano il debito di singole aziende con l'obiettivo di rilanciarle. Oggi sono tre in Italia: Pillarstone-Kkr, Oxy Capital e IDeA Capital.
"È chiaro che una maggiore efficienza crea pressione sul debitore", dice Giovanelli. "L'impatto sull'economia reale è chiaramente negativo. Però, se si guarda da lontano, ci sarà maggiore selettività da parte dei prestatori di denaro, un'efficienza economica benefica. Verranno premiati gli impieghi a basso rischio. Nel funzionamento complessivo è positivo, riporta equilibrio nel sistema creditizio".
-- ha collaborato Valentina Za