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Accordo messicano spinge suini e granturco, materie prime giù senza Canada e Cina

Pubblicato 28.08.2018, 16:02
Aggiornato 02.09.2020, 08:05

Il prezzo delle materie prime agricole (dalla carne di maiale al bestiame al granturco) è schizzato sulla scia dell’accordo commerciale siglato ieri tra USA e Messico e finalizzato a riscrivere l’accordo NAFTA, ma in generale il mercato delle materie prime statunitense probabilmente sarà altalenante fino a quando gli Stati Uniti non risolveranno gli attriti commerciali con Canada e Cina.

Corn 60-Minute Chart

L’accordo sul libero scambio USA-Messico annunciato ieri essenzialmente consiste in accordi aggiornati sull’area nordamericana per il libero scambio tra le due nazioni per quanto riguarda l’economia digitale, le automobili, l’agricoltura e i sindacati ma conserva il cuore del vecchio accordo NAFTA, in base al quale le aziende americane possono operare in Messico senza dazi. La domanda è se questo accordo bilaterale possa diventare di nuovo trilaterale con l’inclusione del Canada. Il Presidente USA Donald Trump ha minacciato di lasciare fuori dall’accordo il vicino settentrionale degli Stati Uniti e di colpirlo con dazi sulle auto se non dovesse “negoziare in modo corretto”.

Dal punto di vista delle materie prime, sarebbe meglio per Washington siglare un accordo con Ottawa, che ha imposto dazi su 12,5 miliardi di dollari di prodotti statunitensi, tra cui acciaio, caramelle, sciroppo d’acero, chicchi di caffè e confettura di fragola per rispondere alla minaccia di Trump di sciogliere l’accordo NAFTA. Gli Stati Uniti, da parte loro, hanno applicato dazi del 25% sull’acciaio, del 20% sul legname e del 10% sull’alluminio in arrivo dal Canada.

Ma ancor più importante che raggiungere un patto con il Canada sarà risolvere lo scontro commerciale con la Cina, che si è inasprito la scorsa settimana quando i due paesi hanno confermato ulteriori dazi del 25% sulle rispettive importazioni. La lotta commerciale è cominciata a gennaio ed ha visto un’escalation questo mese, quando le parti hanno approvato 34 miliardi di dollari di contro-dazi.

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Nell’ultimo attacco, la Cina ha preso di mira 60 miliardi di dollari di beni americani, dal gas naturale liquefatto agli aerei, in risposta alle imposte USA su 200 miliardi di dollari di importazioni cinesi. Sebbene la replica cinese non sia stata proporzionata in termini di dollari rispetto alle tasse USA, in termini percentuali è allarmante. I dazi cinesi sulla carne di maiale USA, ad esempio, sono addirittura del 70%.

Trump, tuttavia, ieri ha dichiarato che “non è il momento di parlare” adesso con la Cina per un accordo commerciale.

Impennata euforica o altra volatilità?

Senza accordi con Canada e Cina, gli analisti affermano che i prezzi delle materie prime USA potrebbero non raggiungere il loro pieno potenziale rialzista per via della domanda dubbia in due dei principali mercati dei prodotti americani. Alcuni pensano che i mercati delle materie prime possano registrare un’impennata euforica ora che il primo pezzo del triplice puzzle commerciale è stato sistemato. Inoltre, le speculazioni che Trump sia determinato a portare avanti quello che è intenzionato a fare - palesemente, riuscire ad ottenere l’accordo migliore per l’America - potrebbero tenere in salita i prezzi nei prossimi giorni.

Ma, secondo altri, a meno che non venga presto comunicata da Ottawa e Pechino la seria intenzione di impegnarsi con degli accordi con Washington, i prezzi potrebbero tornare a scendere entro il fine settimana, preparando la strada ad una maggiore volatilità. “Dal nostro punto di vista come trader, c’è talmente tanta incertezza che molte persone stanno evitando di farsi coinvolgere, perché non si sa cosa potrebbe succedere da un giorno all’altro”, afferma Steve Platt, esperto di strategie sui future di Archer Financials a Chicago nonché partecipante attivo nelle materie prime da oltre 40 anni. “Un giorno si ha l’ottimismo per la possibilità di un accordo commerciale ma è seguito immediatamente dal pessimismo il giorno dopo”.

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Adam Sarhan, fondatore ed Amministratore Delegato del fondo di mercati capitali globali 50 Park Investments di New York, è d’accordo. “A questo punto, l’impatto sulle materie prime scambiate negli USA derivante da questo cosiddetto Accordo sul libero scambio USA-Messico è trascurabile”, afferma Sarhan. “L’accordo in sé non influisce molto sulle materie prime. Se lo facesse, ci sarebbe stato un maggiore movimento al rialzo sui mercati ieri”.

Lean Hogs 15-Min Chart

La carne di maiale scambiata sul Chicago Mercantile Exchange ha visto la performance migliore tra le materie prime nella seduta precedente, con un rimbalzo di quasi il 6%, dopo che l’accordo commerciale annunciato ieri ha potenzialmente eliminato i dazi messicani del 20% sui prodotti suini USA.

Altri prodotti che ne hanno tratto beneficio sono stati il granturco CME, schizzato del 3,5%, e il bestiame vivo, con un’impennata di quasi il 2%. Il bestiame vivo è salito insieme alla carne di maiale nelle ultime settimane, con i trader che hanno considerato le due carni come alternative per le proteine. Il granturco è una delle più importanti importazioni USA dal Messico, in quanto usato come mangime per bovini ed altro bestiame, e il governo messicano ha pensato di imporre tasse sul cereale per rispondere ai pesanti dazi USA su acciaio e alluminio messicani.

Solo alcune materie prime sono schizzate sulla scia dell’accordo USA-Messico

Mentre alcune materie prime hanno visto un’impennata, molte hanno limitato i guadagni. Alcune sono addirittura scese.

US Soybean Daily Chart

La soia sul CME ha segnato il minimo di sei settimane attestandosi con un crollo di quasi l’1,0% per le continue pressioni derivanti dalla tassa cinese del 25% sulla soia USA. Sull’anno, è crollata del 12%.

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“Le prospettive di un ricco raccolto e la minaccia di una guerra commerciale continuano ad adombrare di incertezza la tempistica di un possibile miglioramento”, ha scritto ieri in una nota sulla soia Dan Hueber, del Centro per l’Agricoltura di St. Charles, in Illinois.

Il rame sulla divisione COMEX del NYMEX sale dello 0,2%. Ma sull’anno continua a registrare un tonfo del 17%, con la Cina che ha preso di mira con dazi del 25% le importazioni di minerale di rame e concentrato dagli Stati Uniti, che ne hanno spedito circa 70.000 tonnellate verso il paese l’anno scorso.

Il greggio West Texas Intermediate, scambiato sul New York Mercantile Exchange, sale dello 0,4%. Brian Battle, direttore di Performance Trust Capital Partners, ha riferito a Bloomberg TV che secondo lui il greggio WTI potrebbe arrivare a 70 dollari al barile con un accordo commerciale cinese, sebbene “dal punto di vista delle scorte la questione sia un po’ più complicata … per via del greggio iraniano, di come produrranno i russi e della capacità dell’OPEC di restare unita”.

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