Le borse USA hanno compiuto un rimbalzo; giovedì il Dow (+1,62%) e l’S&P500 (+1,15%) hanno guadagnato con il rally del 2,64% dei titoli bancari, dopo che il presidente della Federal Reserve (Fed) Jerome Powell ha sminuito, per ora, l’eventualità di tassi negativi. Il Nasdaq è avanzato dello 0,91%.
Ma i rialzi sui futures USA restano circoscritti in Asia, sulla scia delle crescenti tensioni fra Washington e Pechino, dopo che Donald Trump ha detto che per ora non vuole parlare con Xi Jinping. Il gioco delle accuse s’intensifica e si teme che gli scambi globali risentano anche delle frizioni fra i due paesi. Il riaccendersi delle tensioni fra USA e Cina è l’ultima cosa di cui il mondo ha bisogno in questo momento, soprattutto considerando che la Cina probabilmente può far poco, in termini di reazione e rimedio, per rispondere alle accuse di Trump, secondo cui la Cina ha creato il virus di proposito. Continuiamo a credere che Pechino cercherà di migliorare le relazioni, evitando di alimentare le tensioni.
Sul fronte dei dati, arriva qualche buona notizia dalla Cina. La flessione della produzione industriale si è attestata al -4,9% ad aprile, a fronte del -8,4% del mese precedente, con la produzione annua pari al 3,9%, meglio dell’1,5% stimato dagli analisti. Il declino nelle vendite al dettaglio è risultato lievemente superiore alle attese degli analisti ma, nel complesso, i dati odierni confermano la rapida ripresa degli indicatori macroeconomici cinesi, dando agli investitori malinconici motivo di sperare che la vita dopo il coronavirus non sarà così cupa come temono.
Le cifre cinesi non riflettono però come andrà la ripresa nel resto del mondo. Al di fuori della Cina, la ripresa resterà probabilmente fosca e c’è il rischio di una seconda ondata di contagi, che potrebbe danneggiare ulteriormente le imprese e le finanze pubbliche.
L’odierno dato sulle vendite al dettaglio negli USA potrebbe confermare un tracollo del 12% m/m ad aprile, a fronte del -8,4% del mese precedente. Dati deboli negli USA dovrebbero tradursi in flussi più cospicui verso i beni rifugio e in un rafforzamento dell’USD.
Invece i trader del petrolio continuano a sperare che la flessione della domanda di petrolio sia inferiore alle ultime previsioni dell’IEA, in previsione di una maggiore mobilità in Europa e negli USA. I principali produttori di petrolio continuano a tagliare le vendite per ridurre il divario fra il calo della domanda senza precedenti e la produzione globale ai massimi storici. Stando alle ultime notizie, la saudita Aramco (SE:2222) ora starebbe vendendo solo agli acquirenti chiave. La prospettiva di una flessione meno marcata della domanda di petrolio e di un calo delle forniture continua a far salire i prezzi del petrolio. Il greggio WTI testa i $28 al barile, mentre il Brent reagisce ai tentativi di sfondare la resistenza a $32. Le crescenti apprensioni sul ritmo della normalizzazione e l’intensificarsi delle tensioni fra USA e Cina potrebbero però frenare il potenziale al rialzo del WTI prima del livello a $30.
L’attività sui futures del FTSE (+1,01%) segnala un avvio positivo a Londra; i titoli energetici potrebbero navigare l’onda positiva del petrolio prima della campanella di chiusura settimanale.
Sui mercati valutari, l’indice del dollaro USA si consolida sopra la soglia dei 100 punti sulla solida domanda di beni rifugio. I rendimenti dei titoli del Tesoro USA sono in calo, con gli investitori che continuano ad accumulare debito USA, meno rischioso, nonostante il recupero dell’azionario – a conferma che la propensione al rischio rimane fragile.
Giovedì l’EUR/USD ha ampliato le perdite, calando a 1,0775, trovando ancora offerte vicino a 1,08 in Asia. Il dollaro USA forte e le incertezze sulla potenza di fuoco della Banca Centrale Europea (BCE) pesano sulla domanda di euro. Oggi la riunione sull’Eurogruppo punterà sui progressi riguardanti il secondo emendamento adottato l’8 maggio 2020 per ampliare l’ambito del Quadro temporaneo sugli aiuti di stato, tramite il quale gli stati avranno accesso a una linea di credito per finanziare i deficit gonfiati dal coronavirus. La dotazione dello strumento rimane tuttavia alquanto limitata, pari al massimo al 2% del PIL degli stati membri. Di conseguenza, anche passi avanti sul fronte fiscale non potranno sostituire il supporto della BCE, se l’intervento della banca venisse bloccato dall’opposizione tedesca. La prospettiva di scarsi aiuti fiscali e monetari potrebbe dunque pesare sugli asset europei e sull’euro.
Oltremanica, giovedì la sterlina è rimbalzata a 1,22 dopo aver testato il supporto di aprile a 1,2170. Le prospettive per la sterlina restano negative, perché la recente tornata di negoziati sulla Brexit, svoltasi questa settimana, non ha condotto a progressi nelle aree cruciali. Il tempo sta per scadere, la scadenza del 2 giugno è ormai imminente e le probabilità di un accordo restano scarse. La maggiore probabilità di una Brexit senza accordo nella definizione del prezzo dovrebbe pesare sulla sterlina e incoraggiare un ulteriore calo verso il livello a 1,20, e forse anche più giù, contro il biglietto verde.