Il deterioramento delle condizioni economiche dell’eurozona, e in particolare della Germania che ne è il motore principale, ha comportato un mutamento di atteggiamento da parte della Bce che ha fatto immediatamente alzare le antenne ai mercati. Una cosa infatti e’ affrontare una fase di decelerazione dell’economia in balia degli eventi, una completamente diversa e’ farlo con il paracadute offerto dalla Bce aperto. Ma andiamo con ordine, quali sono i fattori che maggiormente preoccupano gli investitori?
La BCE ha comunicato che nel mese di dicembre l'avanzo delle partite correnti dell'eurozona, dato dal saldo delle transazioni effettuate per la vendita e per l'acquisto di beni e servizi, è risultato pari a 16,2 mld di euro, da 22,6 mld di euro di novembre. Gli analisti avevano previsto un valore pari a 21,4 miliardi di euro. L’avanzo totale del 2018 è di 343 miliardi, valore che risulta inferiore rispetto ai 362 miliardi del 2017, equivalente al 3% del Pil dell'eurozona. Se si guarda alla sola Germania invece si scopre che la bilancia commerciale a dicembre è stata in surplus per 19,4 mld da 18,9 mld (rivisto da 19) del dicembre 2017 (atteso 18,1 mld). In termini destagionalizzati, il saldo della bilancia commerciale estera è in avanzo di 19 miliardi di euro.
L'Ufficio Federale di Statistica (Destatis) ha inoltre riportato che le esportazioni sono diminuite del 4,5% rispetto a un anno fa mentre le importazioni sono rimaste invariate nello stesso periodo. Rispetto a novembre le esportazioni sono cresciute dell'1,5% e le importazioni dell'1,2%. Per l'intero anno il surplus delle partite correnti (flussi di beni, servizi e investimenti nel paese), è risultato di 294 miliardi di dollari, il maggiore al mondo (per il terzo anno di fila), seguito dal Giappone (173 miliardi di dollari) e dalla Russia (con 116 miliardi). In rapporto al Pil tuttavia il surplus tedesco si è ridotto al 7,4% dal 7,9% dell'anno precedente. Difficile contestare con questi dati la volontà della amministrazione Usa di rivedere gli accordi commerciali con l'Europa. Gli Stati Uniti potrebbero volere imporre nuovi dazi sulle importazioni dall'area euro, in particolare sulle auto (del 25%), con il risultato che, secondo i calcoli dell'istituto IFO, le esportazioni negli States potrebbero diminuire del 50%. A fronte di questi numeri, preoccupanti, al mercato e’ piaciuta la notizia, per ora poco più di una indiscrezione in realtà, che la Bce potrebbe sostenere anche il settore auto.
Il piano di stimolo allo studio da parte della banca centrale, tramite lo strumento dei Tltro, con il quale la Bce eroga prestiti della durata di 4 anni alle banche dell'Eurozona al tasso di riferimento, lo 0%, ma anche al tasso sui depositi, il -0,4%, con l'obiettivo di migliorare le condizioni del mercato del credito ai privati e di aumentare i prestiti delle banche alle aziende, potrebbe essere esteso anche alle finanziarie delle compagnie automobilistiche, quelle che erogano prestiti per l'acquisto di mezzi di trasporto. Il mercato ha subito sentito odore di cambiamento, del resto la frenata dell'economia tedesca negli ultimi due trimestri del 2018 è imputabile principalmente al comparto auto, e ha premiato il Dax con acquisti che gli hanno permesso di superare a partire dal 20 febbraio la triplice resistenza degli 11370 punti, 50% di ritracciamento del ribasso dal top dello scorso settembre, media esponenziale a 100 giorni e "neckline" del testa spalle rialzista disegnato dai minimi del 20 novembre scorso.
Alla rottura di 11510, linea che scende dai massimi di giugno 2018, il raggiungimento del target del testa spalle, a 12450 punti circa, diverrebbe credibile. Resistenze intermedie a 11650, 12000 e 12103 punti (gap dell'8 ottobre). Solo ritorni al di sotto di area 11300 metterebbero in discussione i segnali di forza appena inviati. Ci sono altri risvolti interessanti che derivano dall’ipotesi di un ritorno sulla scena della Bce a sostegno dell’economia dell’area dell’euro. In particolare gli osservatori si sarebbero aspettati che queste notizie potessero tradursi in un rafforzamento del dollaro contro euro, rafforzamento che invece nelle ultime giornate non si è visto. Anzi il cambio è salito in area 1,1350, sulla mediana del canale ribassista disegnato dai massimi del 10 gennaio.
La rottura di 1,1350/75 renderebbe probabile il test del lato alto del canale, a 1,1450, allontanando quindi le quotazioni da quel target di area 1,10 che in molti danno come il prossimo arrivo della coppia di monete più famosa del forex. A spiegare la relativa, e per certi versi inattesa, debolezza del dollaro potrebbero essere voci di un mutato atteggiamento della Fed non solo nei confronti dei tassi di interesse (abbandonata la politica di rialzi "con il pilota automatico" e intrapresa invece una "navigazione a vista") ma anche del bilancio. Già a gennaio la banca centrale Usa aveva infatti comunicato che la velocità di riduzione del suo bilancio, cresciuto a dismisura durante la stagione del "QE", sarebbe potuta diventare uno strumento di politica monetaria. Una riduzione veloce del bilancio equivale come effetti ad un rialzo dei tassi, drena infatti liquidità dal mercato, rende il dollaro più scarso nei confronti delle altre monete e ne fa alzare il prezzo. Il confronto dei grafici della variazione netta della liquidità della Fed su base annua e del cambio euro dollaro evidenzia una chiara similitudine, tanto più velocemente la liquidità scende tanto più il grafico dell'euro dollaro scende, e quindi il dollaro si apprezza. La Fed ha pero iniziato a fare circolare voci, ad esempio tramite Lael Brainard, uno dei suoi membri, che già a partire dalla seconda metà del mese di marzo il ritmo di riduzione del bilancio potrebbe rallentare per poi arrestarsi a fine del 2019. In una intervista alla CNBC Brainard ha dichiarato che la normalizzazione del bilancio della Fed ha già compiuto il suo scopo (di drenare liquidità) e che proseguire su questa strada annullerebbe il beneficio del cambiamento di orientamento della politica monetaria, che dopo il rialzo dei tassi di dicembre dovrebbe essere attendista. Alla fine del 2019 quindi la banca centrale Usa potrebbe trovarsi con un bilancio molto più ampio di quello ipotizzato anche solo pochi mesi fa (e con tassi di interesse più bassi di quelli che il mercato aveva scontato nel 2018). Queste novità spiegano almeno in parte il fatto che la moneta Usa non si stia apprezzando nonostante l'elevata probabilità che la BCE intervenga con una nuova operazione Tltro a sostegno del sistema creditizio, immettendo di fatto nuova liquidità nel sistema. Le minute dell'ultimo incontro della Fed, uscite il 20 gennaio, includono importanti indizi sull'argomento riduzione bilancio, i mercati sono quindi molti attenti in queste ore a leggerle e interpretarle.
Le minute della Fed relative all'ultimo incontro di politica monetaria, del 29-30 gennaio, hanno fornito qualche risposta alle domande dei mercati ma non hanno causato particolari oscillazioni sulle borse. Dalle note emerge infatti chiaramente che i membri del Fomc, il Federal Open Market Committee, sono divisi sull'opportunità di procedere durante il 2019 con nuovi rialzi dei tassi, un elemento di incertezza che non piace particolarmente ai mercati. L’ipotesi di un ulteriore rialzo nella seconda meta’ del 2019 resta probabile, da un certo punto di vista tuttavia questa eventualita’ non e’ vissuta male dagli operatori: la Fed ha sempre ribadito che non crede al rischio di un ingresso in recessione ma che l’economia e’ solida e che tutt’al piu’ sta attraversando una fase di rallentamento. Se si creassero le condizioni per un nuovo intervento sul costo del denaro vorrebbe dire che la Federal Reserve aveva ragione e che la fase espansiva sta continuando. Dalle note è tuttavia anche emersa la volontà di terminare la riduzione del bilancio nel 2019, una conferma gradita agli investitori: la riduzione del bilancio è infatti considerare una misura restrittiva con effetti analoghi ad un rialzo del costo del denaro, la sua graduale estinzione nei prossimi mesi è quindi sicuramente una cosa gradita. La riduzione del bilancio è cominciata nella parte finale del 2017 e lo ha portato dai 4500 miliardi di dollari del picco del 2015 agli attuali 4000 miliardi.
La riduzione procede ad un passo inferiore a quello massimo possibile di 50 miliardi al mese, quindi è probabile che una volta terminata questa cura dimagrante il bilancio Fed resti molto più ampio di quello pre crisi. Il marginale rafforzamento dell'euro dollaro, sceso dai massimi di giornata di area 1,1370 fino a 1,1335 circa fa capire che gli operatori non hanno ravvisato nelle note della Fed novità particolarmente incoraggianti riguardo le prossime mosse di politica monetaria, ma non è nemmeno rimasto deluso. Certo, fino a che il mercato del lavoro resterà in buona salute come adesso e l'inflazione attorno ai valori ritenuti desiderabili dalla banca centrale, il target del 2%, nuovi rialzi dei tassi nella seconda parte dell'anno non si possono escludere, da qui la reazione tiepida dei mercati azionari. L’Italia in questo momento e’ lasciata un po’ ai margini della corrente nella quale si agitano gli altri principali mercati. Evidentemente, e forse anche giustamente, l’emergenza nell’eurozona e’ quella di accorrere al capezzale del grande malato, la Germania, e gli affari di casa nostra restano in secondo piano. Ai mercati tuttavia non sono sfuggite le ultime revisioni delle prospettive di crescita per il nostro paese, che hanno infatti comportato segnali di risveglio da parte dello spread. Ultima in ordine di tempo, ma non di importanza, e’ stata Mood’s, che aveva una stima dell'1,3% sulla crescita del Pil italiano ma che la ha rivista in un valore che probabilmente sarà tra lo 0% e lo 0,5%. Senza una espansione nell’ordine dell’1%, improbabile con questi dati economici, e’ molto improbabile che il rapporto deficit/Pil rimanga vicino al 2% desiderato dalla Commissione Europea, e’ invece piu’ probabile una sua risalita verso e oltre il 3%, una eventualita’ che renderebbe (o forse sarebbe meglio dire “rendera’ ”) obbligatoria una manovra aggiuntiva a meta’ 2019.
Lo spread risale in area 275, graficamente il rischio di ulteriori rialzi esiste. I minimi di martedi' 19 febbraio a 262/63 poggiano infatti sul 61,8% di ritracciamento del rialzo dai minimi del 31 gennaio, la successiva reazione si è lasciata alle spalle la trend line ribassista che parte dal top dell'8 febbraio. Qualche effetto riflesso sulla borsa lo si è già visto, il comparto bancario, abbastanza vivace fino a meta’ febbraio, ha subito una battuta d'arresto. Ulteriori indicazioni rialziste per lo spread verrebbero oltre i 295 punti, rischio in quel caso di una nuova puntata verso 310/320 che potrebbe ovviamente mettere in difficoltà la tenuta del Ftse Mib in prossimità della resistenza critica di area 20300/350 contro la quale le quotazioni si stanno scontrando senza successo da alcune sedute. Sui tassi Btp a 10 anni, che dello spread sono la componente principali (quelli tedeschi sono decisamente più statici) si nota la presenza di un pericoloso testa spalle rialzista disegnato a partire dai minimi del 2 gennaio (testa il minimo del 31 gennaio, seconda spalla il minimo del 19 gennaio). La "neckline" è ancora lontana, passa al 3,03%, ma in caso di superamento di quei livelli la tensione sui tassi potrebbe rapidamente aumentare riportandoli al 3,50/55%. Sotto il 2,70% invece il testa spalle perderebbe di proporzionalità e diverrebbe meno pericoloso (in quel caso anche lo spread si sgonfierebbe assumendo toni meno minacciosi).