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Crolla il prezzo del Rame, pericolo per borsa Shanghai e Tokyo

Pubblicato 17.03.2014, 08:10

I rinnovati timori sul rallentamento dell'economia cinese rafforzano lo yen rispetto alle altre valute ed affossano le borse asiatiche che archiviano la settimana peggiore dal maggio 2012. In Cina gli investimenti, le vendite al dettaglio e la produzione sono scesi nel primo bimestre dell'anno confermando i timori di un rallentamento del paese più profondo di quello già preventivato. Un vero e proprio shock e' venuto dal dato sulla bilancia commerciale di febbraio, che ha fatto registrare un deficit di 23 miliardi di dollari, deludendo le attese degli analisti fissate su un surplus di 13,2 miliardi ed in forte calo rispetto ai 31,9 miliardi di gennaio. Le esportazioni sono diminuite del 18,1% rispetto ad un anno fa (dato atteso +7,5%), evidenziando quindi un ulteriore rallentamento dell'economia del gigante asiatico. Molte istituzioni, tra le quali alcune primarie banche come JP Morgan e Bank of America, hanno rivisto al ribasso le previsioni per la crescita del Pil cinese al 7,2% da un range compreso tra il 7,4 e il 7,6%. A farne le spese sono stati i titoli azionari dei principali paesi asiatici ed i prezzi delle materie prime, ad avvantaggiarsene invece gli asset rifugio, come l'oro, lo yen ed i bond governativi meno rischiosi, come ad esempio i Treasury Usa. E' vero che la Banca centrale cinese (Pboc) sembrerebbe pronta a tagliare, nel caso la crescita scivolasse sotto il 7,5% verso la soglia del 7%, l'importo che le banche devono mantenere a riserva, attualmente 1/5 della raccolta, mettendo quindi di fatto in atto una nuova misura di allentamento di politica monetaria, ma e' improbabile che questo possa invertire la rotta dell'andamento del Pil. Ma il rallentamento cinese potrebbe creare un'onda lunga in grado di colpire anche lontano dall'Asia: i maggiori paesi esportatori di materie prime, come il Brasile, il Cile e l'Australia, potrebbero infatti subire una contrazione della domanda e avere quindi essi stessi problemi. Il calo dei prezzi delle materie prime ha poi effetti perversi sul sistema finanziario cinese, il rame ed i minerali ferrosi vengono infatti usati come garanzia da parte delle aziende per i finanziamenti accesi con le banche. In particolare molti crediti fatti dalle banche al sistema industriale hanno come garanzia il rame. E' evidente quindi che il rallentamento della produzione industriale che influenza negativamente il prezzo del rame mette in crisi anche tutto il sistema delle garanzie dei prestiti avviando un circolo vizioso i cui effetti sono difficili da prevedere. E se lo studio del grafico del prezzo del rame può fornire indicazioni utili per capire cosa si aspettano i mercati sia per l'economia cinese sia piu' in generale per il ciclo globale, gli ultimi movimenti non sono certo incoraggianti. Il rame (3 mesi LME) ha infatti accelerato al ribasso in modo repentino il 7 marzo scendendo sotto i minimi di novembre posti a 6910 dollari per toccare un minimo il 12 marzo a 6376 e terminare poi l'ottava a 6467. Lo studio dei ritracciamenti di Fibonacci calcolati per il periodo dai minimi di dicembre 2008 al top di febbraio 2011 mostra come proprio settimana scorsa i prezzi siano scesi al di sotto dell'importante livello del 50% di ritorno, posto a 6500 circa, segnalando il rischio di un affondo almeno fino al gradino successivo, il 61,8%, posto a 5600 dollari circa. Le similitudini tra l'andamento del prezzo del rame e quello dell'indice della borsa di Shanghai sono evidenti, la violazione del supporto rappresentato dai minimi di giugno 2013 da parte del metallo, avvenuta settimana scorsa, sembra anticipare quindi un analogo movimento anche da parte dell'indice di borsa, che rischia quindi di violare il sostegno di area 1850. Ed e' poco probabile che la realizzazione di uno scenario ribassista per la borsa di Shanghai, figlio del rallentamento dell'economia cinese, lasci indisturbato l'andamento della borsa giapponese. Il Nikkei infatti venerdì scorso non solo e' andato incontro ad un ribasso veramente pesante, del 3,3%, ma lo ha fatto in presenza di volumi veramente elevati, i più alti dal 5 febbraio. La violazione di area 14500 da parte del Nikkei aumenta significativamente le probabilità di un successivo cedimento del supporto strategico dei 14000 punti, dove si colloca il 61,8% di ritracciamento del rialzo partito lo scorso giugno, un livello che allo stato attuale rappresenta dunque l'ultimo baluardo in grado di scongiurare l'affondo verso 13613 (per la ricopertura del gap rialzista del 3 settembre) e in direzione dei minimi di giugno, a 12415 punti. Solo il perentorio ritorno sopra i 15000 punti, seguito dalla rottura di area 15400, permetterebbe di archiviare la fase attuale come un inciampo temporaneo e non come la rovinosa caduta che invece per il momento sembra profilarsi all'orizzonte. Per gli investitori che abbiano posizioni al rialzo sia sulla borsa cinese sia su quella giapponese si consiglia quindi l'adozione di strategie di copertura o di liquidazione degli asset in modo da evitare di rimanere intrappolati in una discesa che potrebbe anche dimostrarsi duratura.

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