“Siamo noi questo prato di aghi sotto il cielo” (Francesco De Gregori)
Per gli analisti di JP Morgan (NYSE:JPM) il prezzo del petrolio salirà a $100 entro fine anno. Considerato che la quotazione del greggio pesa per il 50% sulle scelte delle banche centrali, in questa prospettiva l’inversione di tendenza dei tassi si allontana. Ma di fatto le aspettative sui tassi Fed fund a fine 2022, rimangono complessivamente ancorate intorno al 3,5%, ovvero lontano dal 4% sperato dai “falchi”. Dopo l’uscita dei dati mercato del lavoro in USA, l’attesa era per rialzi di 75, 25 e 25 punti base nelle riunioni di settembre, novembre e dicembre. Dopo il dato, migliore delle previsioni, dell’inflazione le aspettative si sono ridotte rispettivamente a 50, 25 e 25 punti base. L’aspetto più interessante è quello relativo alla ricerca frenetica degli operatori del cosiddetto “pivot” della Fed, ossia il momento esatto di inversione di politica monetaria. Per consolidare questa attesa servono ancora diversi mesi di ribassi del costo del denaro guidati dall’andamento della componente core dell’inflazione. Per le Borse lo scenario potenzialmente recessivo segnalato dall’inversione della curva dei tassi, potrebbe quindi costituire un fattore di potenziale supporto ai corsi azionari tra la fine dell’anno in corso e più probabilmente il 2023, in vista del passaggio del focus della Fed dall’inflazione al tema della crescita. Ne capiremo di più in occasione del simposio Jackson Hole del 25/27 agosto.
Lo spread va in vacanza
Il differenziale tra i nostri Titoli di Stato e quelli tedeschi è stazionario a 200 punti. Lo spauracchio di un rally dello spread come conseguenza dell’instabilità politica è per il momento scongiurato ma i giochi si faranno in autunno, quando il nuovo governo, con la Legge Finanziaria 2023 farà capire le sue reali intenzioni il rispetto degli impegni presi dai precedenti esecutivi con il PNRR e la disciplina di bilancio. La BCE si è dimostrata molto determinata per evitare squilibri tra i vari paesi come dimostra il fatto che abbia già reinvestito in BTP €10 miliardi di euro scaduti dal programma PEPP. Il problema è non c’è chiarezza quale sia il livello di spread al quale Francoforte intenda intervenire. Prevedibile però in questa situazione è che l’attenzione del mercato si sposti dallo spauracchio dell’inflazione, alla crescita. In questo contesto, gli investitori sembrano predisposti ad attendere, mantenendo la posizioni rialziste del portafoglio, senza cadere nella tentazione di prendere beneficio dopo il rally iniziato nel mese di luglio, che ha permesso di recuperare quasi metà della perdita accumulata da inizio anno. In fondo si tratta di rischiare in maniera contenuta nella prospettiva che i supporti reggano. Tra i dati economici rilevanti in uscita oggi segnaliamo: l’Indice di fiducia del Michigan visto a 52,5 punti dai 51,5 punti della rilevazione precedente.
Non si inganna il Made in Italy
Hanno provato a vendere ghiaccio agli esquimesi, ed hanno fallito. Domino’s Pizza, colosso Usa delle pizzerie con consegna a domicilio, ha gettato la spugna in Italia chiudendo tutti i punti vendita: 29 filiali del marchio ancora presenti nel Paese facevano capo a un concessionario, ePizza Spa, che ha dichiarato fallimento. Sbarcata in Italia nel 2015, la catena Usa, nota anche per i condimenti “non tradizionali” sulle pizze, aveva aperto a Milano, Torino, Bergamo, Bologna, Roma, ed in Veneto. Secondo Bloomberg la società italiana nel 2020 aveva €10,6 milioni di debiti. A complicare i piani di espansione, che puntava ad aprire addirittura 900 punti vendita entro il 2030, sarebbe stata la pandemia, e la crescita enorme della concorrenza nel settore del food delivery. Quello di Domino’s Pizza è stato un tentativo di contraffazione “legale” che ha fallito. Una buona notizia, non solo per la pizza ma per tutta la filiera alimentare italiana che in assenza di sostegni pubblici ad aggressive forme di competizione, può fare leva sulla solida reputazione della sua tradizione.