La FED ha alzato i tassi d’interesse di 25bp, portandoli allo 0,25-0,50 %, indicando anche come appropriati ulteriori rialzi. Inoltre Powell deciderà già forse nel meeting del 4 maggio la riduzione dei portafogli di titoli acquistati, pari attualmente ad oltre 9 trilioni di dollari.
Le indicazioni dei singoli governatori puntano ora a un tasso mediano compreso tra l’1,75 e il 2%, pari ad altri sei rialzi quest’anno, ovvero un rialzo da 25 bp in ciascuna delle prossime riunioni fino a dicembre (nell’ultimo meeting erano solo tre). Per il 2023 sono invece indicati altri quattro rialzi da 25 bp, fino al 2,75-3%, mentre nel 2024 i Fed funds potrebbero restare fermi. Powell prevede un’inflazione più alta di quanto indicato a dicembre: 4,3% per il 2022 (dal 2,6%), 2,7% per il 2023 (dal 2,3%) e 2,3% per il 2024 (dal 2,1%). Secondo Powell è probabile che l’inflazione inizi a scendere a partire dal 2023 (prima dello scoppio della guerra era prevista una discesa nella seconda metà del 2022).
Secondo la FED l’economia è solida ma…
Le previsioni della FED indicano un’economia solida e in grado di sopportare una restrizione monetaria, con forti progressi nell’occupazione ma con un mercato del lavoro estremamente teso (ci sono 1,7 posti vacanti per ogni disoccupato). Economia solida ma PIL in frenata nel 2022 rispetto alle previsioni precedenti (+2,8%, dal 4% indicato a dicembre) e conferma per il 2023 al 2,2% e 2% per il 2024. Secondo Powell la frenata del 2022 è chiaramente dovuta agli effetti della guerra, ma non va enfatizzata, visto che la crescita si mantiene al disopra di quella potenziale, intorno all’1,75% e con una bassa probabilità di recessione.
…un quarto di punto è come un’aspirina con la polmonite
In realtà, un quarto di punto è poca cosa di fronte ad una inflazione al 7,9% (un’aspirina con la polmonite) ed ad una crisi energetica che potrebbe durare più a lungo del previsto. L’inflazione sembra quindi non essere il vero problema (se così fosse il rialzo sarebbe stato di 50 bp, visto che l’ultima volta che l’inflazione aveva toccato l’8% i Fed funds erano al 12,5%). Il problema sembra invece la crescita economica, prossima allo zero nel primo trimestre. Il rialzo di 25 bp indica quindi il timore che alle porte ci sia una recessione o peggio una stagflazione. E l’inversione della curva su alcune scadenze sembra segnalare proprio questo e sembra segnalare che i mercati stiano già prezzando un taglio entro novembre 2023. Vedremo.
Portafoglio ben bilanciato sui rischi
Con questo scenario, secondo la nostra analisi, sono da preferire aziende dell'energia e dei materiali, insieme ai settori difensivi dell'assistenza sanitaria e dei servizi pubblici. Così come le industrie di prodotti chimici per l'agricoltura (vista la tensione nei mercati dei fertilizzanti). Ma anche gli immobili, che storicamente hanno offerto una buona protezione in periodi inflazionistici. In ogni caso crediamo che l’investimento - a medio termine - debba privilegiare le società che possono aumentare i prezzi a fonte di una crescita dei costi di produzione (ovvero quello che producono cassa e hanno una redditività superiore a quella media del proprio settore). Se l’inflazione dovesse rimanere alta gli investitori potrebbero anche guardare a strategie alternative, come per esempio gli hedge fund, per proteggersi dall'aumento dei tassi e dall'ampliamento degli spread. Per quanto riguarda invece i bond, le opportunità di trovare rendimenti reali positivi sono limitate. I titoli protetti dall'inflazione rappresentano una garanzia contro il fallimento della FED nel contenere l'inflazione.