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Investitori dei bond confusi sull’inflazione, nelle banche centrali regna la cautela

Pubblicato 26.10.2021, 11:02
Aggiornato 02.09.2020, 08:05

C’è un bel po’ di confusione fra gli investitori riguardo all’inflazione. Ci sono due scuole di pensiero: quelli che pensano sia un problema, e quelli che pensano di no.

Dal momento che il Segretario al Tesoro Janet Yellen, ex presidente della Federal Reserve nonché rinomata economista, rientra nel secondo gruppo, gli investitori sono cauti nell’essere troppo aggressivi con le previsioni di un intervento della Fed per alzare i tassi. Ma Yellen ha un programma e in quanto politica potrebbe non essere del tutto degna di fiducia come prima.

Ad ogni modo, domenica, Yellen ha ribadito che secondo lei l’inflazione scenderà di nuovo al 2% entro la metà del secondo semestre 2022. Ma manca quasi un anno.

Il rendimento dei Treasury decennali, di riferimento, è sceso sotto l’1,64% negli scambi di ieri, dopo aver oscillato all’1,67%.

10-year Treasury Weekly

Grafico settimanale Titoli del Tesoro a 10 anni USA

Il rendimento decennale aveva brevemente superato l’1,68% venerdì, dopo i dati sulle richieste settimanali di sussidio di disoccupazione di giovedì scorso che hanno lievemente deluso le aspettative attestandosi a 290.000, segnale che la ripresa economica continua ad essere robusta.

Inflazione transitoria e aumento dei prezzi dovuto alla domanda

Alcuni esperti di strategie di investimento concordano con Yellen e con il Presidente della Fed Powell nel dire che l’inflazione, sebbene si stia dimostrando più robusta del previsto, sia un fenomeno transitorio risultante dai problemi delle filiere. Secondo loro non è dovuta alla domanda, malgrado le evidenti prove a supporto di questa teoria, come gli aneddoti del libro Beige della Fed in cui i contatti nei vari distretti riportano che la domanda molto alta sta spingendo su i prezzi.

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Per il momento, le “colombe” sembrano essere in vantaggio nella politica monetaria, e Yellen e Powell possono continuare a rinviare la tempistica del calo dell’inflazione. Yellen vuole fare approvare dal Congresso anche solo una minima parte dell’ambizioso piano di spesa del governo e Powell punta all’occupazione massima (e ad altri quattro anni da presidente).

L’annuncio della scorsa settimana di Jens Weidmann, capo della banca centrale tedesca, che si dimetterà dopo aver combattuto per 10 anni le politiche dei soldi facili del consiglio direttivo della Banca Centrale Europea, segna l’uscita di scena di uno dei “falchi” più importanti della banca centrale. Sebbene probabilmente anche il suo successore sarà relativamente interventista, l’opinione diffusa è che lui o lei lo sarà sicuramente di meno.

Ma ciò non significa che i falchi si sbagliano. Gli investitori hanno ragione ad essere confusi … e cauti. Per anni, i banchieri centrali hanno dovuto fare i conti con la tradizionale ideologia che l’espansione dei bilanci delle banche centrali sulla scia della crisi finanziaria 2008 avrebbe portato all’inflazione. Non è mai successo, e ora pensano che questa idea sia obsoleta.

Ma la Terra gira ancora intorno al sole, la legge di gravità fa ancora cadere le cose e la storia non è ancora giunta al termine. Le mode economiche vanno e vengono e il pensiero post-keynesiano è ora in auge mentre quello di Milton Friedman (che stranamente pensava che una pioggia di denaro avrebbe inevitabilmente portato all’inflazione) è antiquato, per ora.

L’economista monetarista Brian Reading, veterano del governo e dei media, afferma con decisione che sta arrivando la stagflazione, in quanto l’inflazione dovuta ai costi, poco notata, indica che l’aumento dei prezzi farà salire la disoccupazione, al contrario dell’inflazione dovuta alla domanda, quando il calo della disoccupazione fa salire i prezzi.

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La sua tesi, in due recenti articoli (qui e qui) per l’OMFIF (Official Monetary and Institutions Forum), del quale fa parte all’interno della commissione di consulenza, è sottile, ma va ad unirsi a quella della crescente folla che smonta l’idea delle banche centrali secondo cui le aspettative sull’inflazione incanalano gli aumenti dei prezzi.

Secondo lui, invece, gli shock dei prezzi, per quanto transitori, sono contagiosi quanto il COVID-19, e generano richieste di compensi ed ulteriori aumenti dei prezzi che non svaniranno tanto velocemente. Le banche centrali, che stanno ancora supportando “titoli azionari insostenibilmente sopravvalutati” saranno obbligate ad agire. Un crash, conclude, è ora inevitabile, ma prima le banche centrali toglieranno la ciotola del punch, meglio sarà.

Sembra triste, ma se avesse ragione?

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